C’è un altro brano che mi è sembrato particolarmente adatto per illuminare il percorso dell’anno scolastico che ci sta davanti. Si tratta di un brano di Péguy nel quale si parla di come si realizza una sedia.
“Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita dal profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali. E sono solo io – io ormai così imbastardito – a farla adesso tanto lunga. Per loro, in loro non c’era allora neppure l’ombra di una riflessione. Il lavoro stava là. Si lavorava bene. Non si trattava di essere visti o di non essere visti. Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto”.
In questo brano l’autore insiste sulla necessità di costruire la sedia bene, perché è giusto che sia così, “per sé, in sé, nella sua stessa natura”, come egli stesso scrive. È questa la principale e l’unica motivazione che deve muovere l’operaio nel suo lavoro. Egli non deve essere mosso dal dalla retribuzione, dall’elogio del padrone o dei clienti.
Se il lavoro dell’operaii deve essere compiuto “per sé” è allora naturale che egli lavori al meglio sia le parti della sedia che si vedono che quelle che rimangono più nascoste. Per Péguy la sedia deve essere realizzata “secondo il principio delle cattedrali”. Chi ha avuto la fortuna di salire sulla cima di una cattedrale avrà potuto notare che i particolari che vi si trovano sono lavorati con la stessa cura degli elementi che si trovano in basso e che sono visibili a tutti.
In questo breve testo l’autore sembra aver magistralmente descritto quale debba essere la “spiritualità del lavoro”. Per trasposizione si può fare un analogo discorso per il mondo della scuola.
Dobbiamo amare lo studio e farlo amare ai nostri alunni “per sé”, perché è grazie ad esso che i nostri occhi si aprono sulla realtà. Saremmo dei bravi insegnanti se riuscissimo a far comprendere loro che non studiano per il voto o per fare un piacere agli insegnanti o ai genitori (il salario, il padrone e gli intenditori nelle parole di Péguy), ma per se stessi.
Quante volte l’esecuzione dei compiti a casa è fatta con superficialità, tanto per fare, tanto per non sentire le prediche dell’insegnante! E lo sappiamo tutti, perché anche noi siamo stati studenti! Quando ci siamo comportati così e quando ancora gli studenti di oggi fanno le stesse cose, non abbiamo amato lo studio “per sé”. Dobbiamo invece insegnare ad agire “secondo lo spirito delle cattedrali” perché solo così i nostri studenti potranno apprezzare a pieno il loro stare a scuola
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