ROMA – Via del Corso è la strada principale del centro di Roma. Chi la percorre in direzione sud vede stagliarsi sullo sfondo l’Altare della Patria, l’opera che celebra l’unità d’Italia e Vittorio Emanuele II, suo primo re.
La storia di questo monumento, che proprio da Vittorio Emanuele II prende anche il nome di “Vittoriano”, è abbastanza curiosa e va inquadrata nella storia dei rapporti fra lo stato italiano e la chiesa cattolica.
Come è noto, Vittorio Emanuele II portò a compimento l’unità d’Italia, facendo scomparire dal palcoscenico della storia il millenario Stato della Chiesa. Inoltre, durante il suo regno, il parlamento italiano varò una serie di leggi anticlericali. Insomma, in poche parole, fra Stato e Chiesa, durante il Risorgimento, e negli anni successivi, non correva affatto buon sangue.
Quando Vittorio Emanuele II morì nel 1878, si pensò subito di ricordare il Padre della Patria con un imponente monumento. In quel clima di frizione al quale si accennava, lo Stato combatteva la sua battaglia anticlericale anche a livello simbolico e per questo fu bandito un concorso per la costruzione del Vittoriano che doveva essere realizzato come “un complesso da erigere sull’altura settentrionale del Campidoglio, in asse con la via del Corso; una statua equestre in bronzo del re; uno sfondo architettonico di almeno trenta metri di lunghezza e ventinove d’altezza, lasciato libero nella forma ma atto a coprire gli edifici retrostanti e la laterale basilica di Santa Maria in Aracoeli“.
Come si può notare, le imponenti dimensioni dell’opera, oltre a celebrare il Padre della Patria, dovevano oscurare la retrostante basilica di Santa Maria in Aracoeli, la chiesa che, prima dell’edificazione del Vittoriano, dominava la città ed era ben visibile da Via del Corso.
Il nome dell’Aracoeli ha un particolare significato. Deriva infatti da una leggenda che narra come l’imperatore Augusto abbia visto in questo luogo la Madonna che gli diceva: “Questo sarà l’altare (ara) del Figlio di Dio”, volendogli così indicare la fine del paganesimo e la venuta del cristianesimo.
Risulta dunque ancora più chiara l’intenzione dei banditori del concorso: sostituire il cristiano Altare di Dio con il laico Altare della Patria. Il monumento dava anche significativamente le spalle all’edificio sacro, come a dire che la nuova Italia si sarebbe dovuta lasciare alle spalle la sua storia religiosa.
Concludiamo col le significative parole di Primo Levi che, qualche anno prima dell’inaugurazione ufficiale avvenuta il 4 giugno 1911 ad opera di Vittorio Emanuele III, scrisse che “L’Italia era nell’obbligo di elevare la terza Roma vicino alle due prime”: nelle intenzioni della monarchia, attraverso il simbolismo del Vittoriano, la “Roma Sabauda” avrebbe dovuto superare in fasto la “Roma Imperiale” e la “Roma Papale”.
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