Sono da poco passate le cinque del mattino del 1 Maggio 2010 quando una quarantina di persone scendono, assonnate e con le gambe pesanti, da un autobus turistico. Sono a circa 40 km da Torino, una città molto particolare, alla quale Dio ha voluto donare un gran numero di santi e beati, forse con lo scopo di combattere le nutrite legioni anticristiane lì presenti nel corso della storia. Basti pensare all’età risorgimentale, al furore anticattolico della seconda metà dell’ottocento tenuto a bada da gente come san Giovanni Bosco, san Leonardo Murialdo, san Domenico Savio e si potrebbe continuare all’infinito. Lì, a un’ora di bus, quel piccolo popolo va a contemplare la reliquia più importante della cristianità, la Sacra Sindone, il telo nel quale è impresso il volto di Cristo.
Prima di arrivare davanti al sacro telo, in un duomo di Torino stipato di pellegrini, viene mostrato un video esplicativo di grande impatto, verrebbe da dire “medievale” nel senso vero e buono del termine. Le tante parole, i tanti discorsi lasciano spazio alle immagini: nel video vengono evidenziate una ad una le tracce impresse su lino. Non una parola, non un’intervista al personaggio di turno. Solo quell’immagine impressa. Grazie allo zoom ottico passano in rassegna davanti ai pellegrini le tracce dei flagelli, la piaga del costato, la corona di spine, il volto. Tutti assistono in silenzio, assorti e solo una leggera musica di sottofondo fa compagnia ai pensieri di chi guarda. Nella società delle chiacchiere, dove tutto va “spiegato” nei minimi dettagli con tante parole, ecco irrompere il gusto antico e straordinario di vedere, capire, quasi toccare.
La sindone interroga tutti. Chi crede percepisce come una spina nella carne e la sua fede, spesso dimessa e pantofolaia stritolata dalla frenetica routine del quotidiano, riceve un salutare scossone.
Chi non crede forse inconsciamente ha percepito una profonda verità: Cristo è un problema anche suo. Se un Dio si fa uomo, muore in croce in quel modo, è un problema di tutti. Non è un fatto semplicemente educativo, non è una semplice tradizione tramandata dai padri, non è un buon modo per stabilire l’ordine sociale o la fratellanza. Si fa uomo come noi e muore, per salvarci. Se è successo, se quel telo può essere una prova storica (e la scienza nella datazione è incline a pensarla tale) allora quel volto guarda chiunque, scava nell’animo di ognuno.
Si può essere tentati di osservare la sindone come un fatto “culturale”, come si ammira un bel quadro o le guglie di una cattedrale antica. Oppure si può ridurlo a un fatto sentimentale, la commozione del momento incentivata dalla penombra, dalla musica e dalla lunga attesa in fila.
La realtà ci invita invece a guardarla come un dono necessario a rafforzare la nostra fede. Come uomini abbiamo bisogno di segni concreti: se pensassimo Dio solo nel nostro cuore ne faremmo una caricatura piegata alle nostre inclinazioni. Invece lui “parla” attraverso la materia sensibile e sa che ammirare un telo di lino con la sua immagine impressa, ricorda ai suoi figli “smemorati” quella grande Verità, “scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani”.
Il nostro viaggio non si è fermato lì. Abbiamo fatto visita nel pomeriggio alla splendida sacra di san Michele, il santuario sul monte Pirchiriano dedicato all’arcangelo con la spada. Stupisce sempre andare in luoghi dove da mille anni passano pellegrini, tutti animati dallo stesso desiderio di conversione. I secoli passano, cambiano gli usi, i costumi ma il cuore dell’uomo è lo stesso.
A volte visitiamo posti anche antichi (castelli, regge), ma essi spesso sono espressione di realtà ormai morte e sepolte. Uno può visitare uno splendido castello, ma è consapevole che quelle fortificazioni non hanno più lo scopo per le quali sono state create. Uno visita una sacra e quel capitello in marmo, dove vedi raffigurati i sette vizi capitali, parla anche a te, il suo scopo non si è esaurito e mai lo farà.
Questa è la forza della tradizione cristiana autentica: le pietre sono realmente vive e parlano. Certamente bisogna essere disposti ad ascoltare.
Il giorno dopo, 2 Maggio, ci siamo recati nel santuario di Oropa, nel quale abbiamo ascoltato la messa domenicale poi siamo ripartiti alla volta delle nostre case. Certo, due giorni intensi e una notte in autobus. Niente a che vedere con la tranquilla domenica sognata dall’italiano medio, lauto pranzo e passeggiatina in riva al mare. Però, nonostante fatica e stanchezza, quelle ore hanno lasciato in fondo al cuore una grande ricchezza.