Un’anagrafe permanente. Oltre a essere “un’indagine approfondita” sui servizi, la rilevazione – promossa dalla Consulta nazionale degli organismi socio-assistenziali, da Caritas italiana e dall’Ufficio Cei per la pastorale della sanità – ha realizzato “un’anagrafe permanente” delle strutture e dei servizi ecclesiali, a livello nazionale e regionale, grazie a un “database” aggiornato dagli stessi operatori presenti nelle diocesi. “La Chiesa è presente dove è presente l’uomo”, ha detto don Francesco Soddu, direttore della Caritas italiana, soffermandosi sull’“originalità del modello italiano” di “sussidiarietà” nei confronti dello Stato, grazie al quale la Chiesa “è chiamata a cercare forme più rispondenti ai nuovi bisogni”. Il rischio, però, è quello di un “uso strumentale dei corpi intermedi in termini di supplenza”: di qui la necessità di “chiarire bene” il loro ruolo, nell’ottica di “un sistema sociale partecipato, equo e sostenibile”. Per mons. Andrea Manto, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della sanità, gli oltre 420.000 operatori del settore socio-assistenziale e sanitario ecclesiale, “di cui un terzo lavoratori dipendenti”, sono “un fattore di unità nazionale, in un tempo di disgregazione in cui le spinte centrifughe sono molto forti”. “La carità – ha aggiunto mons. Domenico Pompili, sottosegretario Cei, concludendo l’incontro – in questo tempo di contrazione è il propellente necessario per affrontare ciò che ci sta davanti e inventare un nuovo paradigma”.
Un servizio di “rete”. “Avviare una riflessione approfondita sul ruolo che le istituzioni ecclesiali socio-assistenziali e sanitarie del nostro Paese possono ricoprire nel sostenere una rete di assistenza più prossima ai bisogni delle persone”, attraverso “una rete orientata alla promozione del bene comune, al contrasto delle disuguaglianze, al riconoscimento della salute come diritto senza esclusione”. Questo – hanno spiegato Renato Marinaro e Michele Loiudice, responsabili del gruppo di lavoro che ha curato la rilevazione – l’obiettivo principale del censimento, inserito nel Progetto S.In.O.S.S.I (sistema d’indagini sulle opere ecclesiali, sanitarie e sociali in Italia), nato all’indomani del Convegno di Verona (2006). La rilevazione ha avuto come oggetto tutte le strutture o servizi ecclesiali (o d’ispirazione cristiana) attivi al 31 dicembre 2009 e diffusi nelle diocesi, dotati (oltre che del prerequisito di “appartenenza alla Chiesa o collegamento ad essa”) dei requisiti di “stabilità temporale, stabilità strutturale, effettiva operatività”. I servizi censiti risultano complessivamente 14.246, di cui 916 operanti nell’ambito dell’assistenza sanitaria e 13.298 in quello dell’assistenza socio-sanitaria o sociale (oltre a 32 servizi che non hanno indicato il tipo di assistenza svolta). La maggior parte dei servizi – si legge nel censimento – è risultata operante nell’ambito dell’assistenza socio-sanitaria e non residenziale (8.858, pari al 62,3% del totale), poco meno di un terzo in attività di assistenza socio-sanitaria e sociale residenziale (4.440, pari al 31,2%) e il 6.4% (916 servizi) nel campo dell’assistenza sanitaria. La distribuzione dei principali tipi di assistenza è sensibilmente diversa per zona geografica: spiccano, in particolare, la percentuale di servizi di assistenza sanitaria nel Centro (11,5%), quasi doppia rispetto al valore nazionale, e quella dei servizi di assistenza socio-sanitaria e residenziale nel Nord (35,8%); più contenuti sono invece gli spostamenti rispetto al valore nazionale della percentuale dei servizi di assistenza socio-sanitaria e sociale non residenziale (65,3% nel Mezzogiorno, a fronte del 61,9% nel Centro e del 60,7% nel Nord).
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