Lo ha detto mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, incontrando oggi a Roma gli assistenti e i consulenti delle aggregazioni ecclesiali impegnate nella formazione alla responsabilità sociale. “Se siamo arrivati alla dichiarata necessità di una nuova generazione di cattolici – l’analisi di mons. Crociata – non è stato per assenza di politici, sindacalisti, figure istituzionali dichiaratamente cattolici, ma per il venir meno di un quadro sociale complessivo religiosamente integrato e per la perdita di vitalità e di adeguata incidenza dell’ispirazione cristiana nella vita sociale, civile e politica”.
Evoluzione e debolezza. Analizzando la situazione italiana, mons. Crociata ha segnalato la “persistenza di un cattolicesimo popolare nel nostro Paese”, che però “subisce una costante erosione e soprattutto trova sempre meno una rappresentanza pubblica adeguata, per ragioni che attengono non solo alla qualità e alla responsabilità delle persone, ma anche all’evoluzione del quadro culturale e istituzionale”, creando un “intreccio di evoluzione della vita pubblica e debolezza della qualità della presenza di cattolici”. “Insieme – l’appello di mons. Crociata agli assistenti e consulenti nazionali delle associazioni ecclesiali sociali – dobbiamo farci carico di una missione difficile e necessaria, in cui s’incrociano la nostra responsabilità pastorale, le attese di iscritti e associati, il compito storico della Chiesa in Italia”. La “complessità del momento”, per il vescovo, presenta “un popolo di credenti fedeli al loro dovere e al loro compito in famiglia, sul lavoro, nelle relazioni sociali”, ma anche “una sequela di ambiguità, incoerenze, contraddizioni che contribuiscono a spiegare la situazione dell’Italia di oggi”, caratterizzata per i credenti da “una debolezza della personale consapevolezza di fede e della coscienza morale dei singoli” che esige “un’attenta verifica delle nostre proposte formative e dei rispettivi percorsi”, in sintonia con quanto i vescovi italiani chiedono sul tema educativo nel corso di questo decennio.
Le insidie e l’integrità. Sotto accusa, per mons. Crociata, c’è “una mentalità che si è insinuata in mezzo a noi e che rimanda a quella tanto deprecata separazione tra fede e vita, che oggi assume forme cangianti e insidiose”. “Mentre sembra recuperare terreno la richiesta di presenza pubblica della fede e delle sue istanze attraverso la Chiesa – la denuncia del segretario generale della Cei – la dissociazione della fede tra privato e pubblico si ripropone nella vita dei singoli, che ormai tendono a pensare, e a vivere, come se la fede fosse affare privato, e tutto ciò che riguarda la vita sociale e civile fosse da trattare secondo una logica tutta mondana”. A questa “insidia”, si aggiunge quella che induce a “considerare secondario ciò che attiene ai comportamenti personali o privati”. Il risultato è quello di “pensare la fede in maniera separata dalla vita e dalla coerenza che a essa è richiesta, annullando le esigenze della morale ridotta semplicisticamente sempre a moralismo”. “L’integrità, nel senso dell’unità del pensare e del vivere, e quindi della persona, è una dimensione costitutiva della fede come siamo chiamati a viverla nella Chiesa”, ha ammonito mons. Crociata, invitando i credenti “alla profonda unità tra etica sociale ed etica della vita con un preciso primato di quest’ultima, per la salvaguardia – a cui è preposta – dell’identità e della dignità inalienabile di ogni persona umana, in qualsiasi condizione si trovi, dal concepimento alla fine naturale”. Alle associazioni, spetta il compito di “individuare gli elementi costitutivi di una proposta formativa che porti i credenti a essere fino in fondo tali, cioè capaci di assumersi le proprie responsabilità nella vita privata e in quella pubblica, così da rispondere alle attese che il nostro Paese spera di ricevere dalla presenza dei cattolici”.