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Imparare ad accogliere

Dal Sir di Marilisa Della Monica
ITALIA – “In un momento storico nel quale i flussi migratori nell’area del Mediterraneo stanno sollecitando sia i Paesi della sponda Sud sia quelli della sponda Nord del ‘Mare nostrum’, la possibilità di poter formare degli operatori delle Caritas diocesane ai temi della mobilità umana, con particolare attenzione alla tutela giuridica e all’accoglienza, è un’occasione irrinunciabile”. Con queste parole Oliviero Forti, responsabile dell’Ufficio immigrazione della Caritas italiana, presenta la summer school che, dal 15 al 21 luglio, si è svolta nella diocesi di Agrigento.

Corso di formazione al processo migratorio. Trenta giovani provenienti da tutt’Italia si sono formati “con competenze adeguate per un’efficace gestione delle problematiche attinenti il fenomeno migratorio – spiega Valerio Landri, direttore della Caritas diocesana di Agrigento – in una dimensione eticamente orientata, peculiarità della mission di Caritas, e con particolare riguardo alla protezione dei migranti e di specifici target (donne vittime di tratta, minori stranieri non accompagnati, rifugiati politici, richiedenti asilo, ecc)”.

Risposte alle domande sulla migrazione. La summer school è stata fortemente voluta dall’arcivescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro, e dal direttore di Caritas italiana, don Francesco Soddu. “Migramed – prosegue Landri – nasce come risposta alla crescente domanda di analisi e di alta formazione generata dai fenomeni migratori e dai processi a questi correlati, che richiedono uno sforzo di comprensione globale e un metodo d’indagine interdisciplinare. Per fare ciò è stata prevista nel percorso formativo, oltre ai laboratori e alle lezioni con docenti di livello nazionale su tematiche quali la mobilità umana, lo sfruttamento e il traffico di esseri umani, richiedenti asilo e rifugiati, orientamento legale e della salute, anche una study visit alle strutture d’accoglienza della Caritas diocesana di Trapani”. Secondo Landri “si deve guardare all’immigrazione come a un fenomeno sociale totale, che trasforma sia le società di partenza sia quelle di arrivo, collegando a ciò tutta la complessità dei fenomeni normativi, psicologici, sanitari e d’intervento legati a questo fenomeno”.

Le storie dei partecipanti. I partecipanti a Migramed avevano alle spalle molta esperienza nell’accoglienza dei migranti. E si è rimasti davvero colpiti nei racconti di chi, ad esempio, gli sbarchi di Lampedusa li ha vissuti a Genova. Nel capoluogo ligure, racconta Laura Maria Ghersi, volontaria in uno Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), “sono arrivati i tunisini dei primi sbarchi e sono rimasti fin quando lo Stato non ha preso una decisione: erano persone ferite e abbastanza provate, da parte nostra si percepiva un senso d’impotenza nel non riuscire a fare di più di quanto nelle nostre possibilità”. Nelle giornate di Migramed è stato dedicato ampio spazio anche alle tematiche dello sfruttamento e del traffico di esseri umani; anche qui i racconti di chi giornalmente si trova a contatto con giovani donne che vivono sulla loro pelle queste situazioni fanno riflettere su quanto terribile possa essere l’esistenza di molte immigrate. “Le nigeriane – dice la volontaria – vivono una condizione di sfruttamento davvero inumana, gli sfruttatori tengono legate le vite di queste giovani donne con i rituali voodoo, così anche quando vengono da noi aiutate a uscire fuori dalla prostituzione queste donne, nella maggior parte dei casi, ritornano sulla strada credendo che le loro famiglie in Nigeria siano in pericolo proprio a causa di questi riti”. Ma la situazione non cambia con le europee: “La vicinanza territoriale –spiega ancora la volontaria – fa sì che, comunque, resti sempre un collegamento e quindi è davvero difficile riuscire a fare in modo che queste ragazze riescano a uscire fuori dalle situazioni di sfruttamento in cui vivono e questo lo constatiamo molto con le ragazze di origine albanese”.

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