Di Nicola Rosetti
VATICANO – Per leggere la prima parte, clicca qui.
Gesù ha chiesto a Pietro di confermare i suoi fratelli nella fede (cfr Lc 22,32) ed è dunque compito di ogni Pontefice, in qualità di successore di Pietro, promuovere fra tutti i cristiani il vincolo dell’unità nella fede. Giovanni XXIII e Paolo VI, grazie al Concilio Vaticano II, hanno sicuramente contribuito a distendere i rapporti della Chiesa con le comunità non cattoliche, Giovanni Paolo II con il suo personale carisma ha avvicinato numerosi capi cristiani ortodossi, anglicani e cattolici rinsaldando i vincoli di comunione già stabiliti dai suoi predecessori. Tutti questi pontefici hanno dovuto fare però i conti con le realtà interne della Chiesa delle quali parlavamo nell’ultima parte del precedente articolo: da una parte quei cattolici legati alla tradizione e piuttosto scettici nei confronti delle comunità cristiane non cattoliche, dall’altra quei cattolici che invece hanno guardato con eccessivo ottimismo ai fratelli separati, dimenticando la propria identità cattolica. È stato il magistero dell’attuale pontefice a dirimere la questione consentendo all’ecumenismo cattolico di riprendere la sua strada e di giungere ad importanti mete: Benedetto XVI ha invitato i cattolici a riprendere in mano i documenti del Concilio, a trarre spunto dalla loro saggia ed equilibrata impostazione e a leggerli con l’ermeneutica della continuità. In questa logica, durante il pontificato di Benedetto XVI, si sta ricucendo lo strappo con i lefebvriani e si sta ricomponendo lo scisma con gli anglicani. Partiamo da quest’ultimo.
La comunione anglicana, per risolvere il problema delle scarse vocazioni e pressata dalle istanze del femminismo, ha deciso di ammettere all’ordine sacro anche le donne. Questa scelta, che non ha fondamento nella tradizione della Chiesa, non è stata vista di buon occhio da numerosi fedeli, preti e vescovi anglicani che hanno così indirizzato lo sguardo verso la Chiesa Cattolica. Benedetto XVI con la Costituzione Apostolica “Anglicanorum coetibus” ha dato la possibilità a questi fedeli di ritornare nel seno della Chiesa. Possiamo dire che questo è stato uno dei più significativi atti del Papa in favore dell’unità della Chiesa: quello che per molti era considerato un anacronistico e impossibile ritorno si è invece puntualmente verificato!
Più complessa è la ricomposizione dello scisma lefebvriano. Questa comunità, nata dai seguaci di Mons. Lefebvre che non accettava l’insegnamento del Vaticano II, è attualmente guidata da 4 vescovi scismatici. Nel 2008 i lefebvriani hanno chiesto al Papa la revoca della scomunica che dal 1988 li pone fuori dalla Chiesa cattolica. Nel gennaio del 2009 il Papa ha accolto la loro richiesta, ma nel frattempo scoppiava una virulenta polemica a seguito di gravi affermazioni antisemite rilasciate qualche tempo prima dal vescovo Richard Williamson e delle quali Benedetto XVI non era stato informato. Dopo un periodo di stasi, il dialogo fra la comunità scismatica e la Santa Sede è ripreso, ma i lefebvriani si ostinano a non voler riconoscere il magistero del Vaticano II in materia di libertà religiosa, dialogo ecumenico e inter- religioso e liturgia. Se le difficoltà saranno superate, sarà per il Papa tedesco un nuovo importante traguardo.
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