Nicola Rosetti
VATICANO – Ci siamo occupati in due precedenti articoli di come la Chiesa cattolica e l’attuale pontefice vedano il loro rapporto con i cristiani non cattolici. Oggi ci interessiamo invece di come la Chiesa e Benedetto XVI guardino le religioni non cristiane. Se il decreto “Unitatis redintegratio” è la magna carta dell’ecumenismo, la dichiarazione “Nostra aetate” è la guida sicura che ci mostra come i cattolici debbano relazionarsi con le altre religioni. La dichiarazione, all’interno di un concilio, è sicuramente il documento di minor rilievo, tuttavia non possiamo sottovalutare la svolta epocale che ha prodotto.
La visione tradizionale vedeva nelle religioni non cristiane solo un coacervo di errori e peccato, non pochi teologi del passato si sono spinti a definire demoniache le altre religioni. Particolarmente incrinati sono stati i rapporti che il cristianesimo ha avuto con le altre due religioni monoteiste: l’ebraismo e l’islam. I motivi di tale astio si possono rintracciare sia a livello storico che a livello teologico: gli ebrei guardavano i primi cristiani come a una setta eretica, dal canto loro i cristiani vedevano gli ebrei come coloro che non avevano riconosciuto Gesù come l’inviato di Dio ed anzi lo avevano crocifisso; i cristiani poi vedevano i musulmani come i conquistatori e i distruttori di fiorenti comunità cristiane sorte nel bacino Mediterraneo, mentre i seguaci di Maometto vedevano i cristiani come coloro che avevano falsificato le sacre scritture. In poche parole cristiani, ebrei e musulmani si sono guardati reciprocamente, fino ad epoca recente, con grande sospetto e diffidenza.
Il Concilio Vaticano II, con la dichiarazione “Nostra aetate” ha dato una clamorosa svolta a questa impostazione. Pur ribadendo il suo dovere di annunciare a tutti gli uomini che si può avere salvezza solo per mezzo di Cristo, il Concilio si è sforzato di vedere quegli elementi positivi, e possibilmente comuni, che caratterizzano le altre religioni, in modo simile a quanto lo scrittore cristiano Giustino (I sec. d.C.) ha fatto con la filosofia greca.
Per quanto riguarda l’islam la “Nostra aetate” mette in evidenza che cristiani e musulmani credono in un unico Dio, Creatore, Giusto, Misericordioso, che si è rivelato agli uomini e in particolare ad Abramo e a Gesù, che però non riconoscono come Figlio di Dio. Cristiani e musulmani poi hanno in gran considerazione la preghiera, il digiuno e le elemosina.
La dichiarazione conciliare, trattando dell’ebraismo, afferma che cristiani ed ebrei hanno una comune tradizione spirituale dalla quale deve scaturire un reciproco desiderio di dialogo e rispetto. Fondamentale è il passaggio in cui si ricorda che da questo popolo provengono Gesù, sua madre Maria, gli apostoli e i primi discepoli e che la morte del Signore non può essere imputata indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi o del nostro tempo.
Con l’ascesa al soglio pontificio di Benedetto XVI, l’ex prefetto del Sant’Uffizio, molti hanno temuto che l’apertura verso le altre religioni inaugurata con il Concilio Vaticano II avrebbe potuto subire una battuta d’arresto, cosa che non si è assolutamente verificata. Benedetto XVI, come Giovanni Paolo II, ha avuto un importante incontro ad Assisi il 27 ottobre 2011 con i leader delle altre religioni. Durante questa manifestazione intitolata “Pellegrini della Verità, pellegrini della pace”, riprendendo concetti espressi nella “Nostra aetate”, il Santo Padre ha spiegato come il compito delle religioni sia quello di promuovere la pace perché esse hanno in comune il desiderio di dare risposte di senso alle domande dell’uomo. Il Papa ha sottolineato come la violenza non è l’essenza della religione, ma la sua deviazione e che nessun atto malvagio può essere giustificato in nome di una fede. Il Pontefice ha poi messo in guardia da un’altra forma di violenza, diametralmente opposta a quella precedente, quella generata dall’oscuramento di Dio, provocato da quanti non riconoscono più nessuna norma e nessun giudice sopra se stessi.
Contrariamente a quanto avvenuto 25 anni prima durante la visita di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ha dato maggior risalto al dialogo e al pellegrinaggio, mettendo in secondo piano la preghiera. Questa scelta, di impronta più conciliare, ha evitato così facili confusioni di tipo relativistico che si sarebbero potute generare e ha mostrato come il cristianesimo, pur sentendosi propugnatore della vara religione, sia altrettanto interessato all’ascolto e al dialogo con le altre fedi.