EUROPA- “C’è stato un superamento della magistratura italiana, un surclassamento”, ha detto questa mattina il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, invitando a “ripensarci un attimo”. E il ministro della Salute, Renato Balduzzi, alla Radio Vaticana ha confermato l’intenzione di proporre al Consiglio dei ministri “di ricorrere nei confronti di questa decisione”. Il giornalista Francesco Rossi, ha interpellato in proposito Giuseppe Dalla Torre, giurista e rettore della Lumsa.
Diversi osservatori, tra cui il card. Bagnasco, hanno parlato di un “surclassamento” della magistratura italiana da parte della Corte europea. Perché vi è stato questo intervento della Corte prescindendo dai nostri tre gradi di giudizio?
“Queste iniziative sono chiaramente da inquadrare, a mio avviso, all’interno di una strategia più generale diretta allo smantellamento della legge 40. Si è tentato in varie maniere di fronte ai giudici italiani, in alcuni casi con fortuna per i ricorrenti, in altri meno; probabilmente ora si è voluto creare in questo modo il caso clamoroso. Certo, sorprende che il giudice di Strasburgo abbia accolto il ricorso e proceduto alla discussione di questa vicenda non curandosi del fatto che la giustizia nazionale non fosse stata interpellata, e di conseguenza neppure si fosse pronunciata”.
Si può parlare di limitazione della sovranità nazionale, e in tal caso costituisce un precedente pericoloso?
“È senz’altro così. Si tratta però anche di un vizio di procedura che deve pesare in sede di appello”.
Ma come può uscire, da una Corte composta di magistrati, una decisione con un vizio del genere?
“Non saprei… Il ricorso a Strasburgo, come ho già detto, rientra certamente nel tentativo di smantellamento della legge 40. In questo modo la decisione della Corte crea anche un clima politico di rimessa in discussione di una legge che ormai sembrava aver passato una serie di vagli da parte della magistratura italiana, ivi compresa la Corte costituzionale”.
Si va verso l’eugenetica?
“Il rischio è assolutamente questo. Dal punto di vista giuridico mi pare assurdo porre il diritto alla riservatezza in rapporto con il diritto alla vita, da un lato, e, dall’altro, parlare di un diritto alla procreazione. La procreazione è un desiderio, un interesse al quale gli Stati a livello giuridico, come pure d’iniziative sanitarie, devono venire incontro, ma non si può certo parlare, a tal riguardo, di diritto, e men che meno di diritto fondamentale. Nell’ambito del dibattito bioetico la rivendicazione di desideri – ancorché legittimi – come diritti provoca paradossalmente un indebolimento del principio di uguaglianza, che assieme a quello di libertà è una delle grandi conquiste della democrazia nel mondo moderno. La Legge 40 è stata contestata per il divieto di fecondazione eterologa, ma proprio in tale divieto c’è una tutela del principio di uguaglianza”.
In che termini?
“La fecondazione eterologa potrebbe avvenire soltanto nell’anonimato del donatore. Ciò significa che a una categoria di soggetti verrebbe precluso il diritto di conoscere chi è il padre, sacrosanto non solo per questioni di tipo patrimoniale o ereditario, ma anche per altre ben più rilevanti quali, ad esempio, la medicina preventiva, per cui la conoscenza del patrimonio genetico dei genitori è fondamentale per l’esercizio del diritto alla salute tramite la prevenzione”.
I giudici della Corte di Strasburgo hanno denunciato un’“incongruenza” tra la legge 40 e la 194/1978. È così?
“In realtà siamo di fronte a due fattispecie completamente diverse. Premesso che la stessa legge 194 proclama, all’inizio, che lo Stato ‘tutela la vita umana dal suo inizio’, qui si parla di danno alla salute della madre come prerequisito per l’aborto terapeutico. È chiaro, da una posizione cattolica anche questo è discutibile, ma vi è una ratio. La legge 40, invece, rivolge la sua attenzione all’embrione. Con la sentenza della Corte siamo di fronte a un bambino la cui vita viene programmata assieme a quella di altri, fecondando gli ovuli, e poi si scelgono per l’impianto nell’utero quelli sani, lasciando da parte quanti, secondo le analisi, non sono sani. Ammesso che le analisi siano sicure al 100%, mentre in realtà non è così…”.
In attesa del ricorso o del recepimento della sentenza da parte dell’ordinamento, com’è la situazione per le diagnosi pre-impianto? Può succedere qualcosa di politicamente rilevante?
“Sul piano politico credo proprio di no, sia per i tempi, sia perché ci sono ben altri, urgenti e gravi, problemi che riguardano tutti e incombono sulla nostra società. Dal punto di vista giuridico la situazione non è compromessa. La Corte non autorizza a procedere, ma condanna l’Italia per violazione dei diritti previsti dalla Convenzione”.