ITALIA – Le parole del Ministro Profumo su quella che lui ritiene la scarsa attualità dell’insegnamento religioso cattolico nella scuola italiana ha sollevato un vivace dibattito su siti web e blog. La discussione su questo tema non è nuova e la riflessione sulle modalità dell’insegnamento religioso nella scuola può essere tranquillamente catalogata come una “vexata questio”.
Molti dei pensieri esposti dagli utenti del web fanno spesso riferimento a lontane esperienze avvenute in età scolare oppure ricalcano il “sentito dire”. È quindi forse necessario tornare sull’argomento per fare chiarezza su qualche punto.
Si è più volte detto che l’insegnamento religioso confessionale (nei contenuti e nel personale addetto alla docenza di questa materia) a scuola intaccherebbe la laicità dello stato e per questo si dovrebbe optare per un insegnamento della storia delle religioni che sarebbe più neutrale e utile per tutti gli studenti.
Su questo modo di comprendere la laicità la nostra sensibilità cattolica ha qualcosa da dire. La vera laicità si fonda sulla distinzione (non separazione) fra la sfera religiosa e quella politica, fra i diritti della comunità religiosa e quelli della comunità politica.
Anche se ai più può sembrare inverosimile, il primo formulatore del principio della laicità è stato Gesù quando ha affermato: “Date a Cesare (cioè al potere civile) quello che è di Cesare e a Dio (cioè il potere religioso) quello che è di Dio”.
Tale principio, che potremmo riformulare anche “Libera Chiesa E Libero Stato” (e non come disse Cavour “Libera Chiesa IN Libero Stato), è anche sancito dall’articolo 7 della nostra Costituzione che recita: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.
Lo Stato e la Chiesa hanno dunque missioni differenti e ognuna ha delle competenze proprie. Può capitare che su alcune materie ci sia comunque un interesse comune. Portiamo degli esempi. La costruzione delle infrastrutture è sicuramente di esclusiva competenza dello Stato, mentre la formulazione dei dogmi è di esclusiva competenza della Chiesa. Una realtà come il matrimonio però ricade allo stesso tempo sotto la sfera civile e sotto quella religiosa (ovviamente per chi è cattolico). È in questo frangente che Chiesa e Stato possono collaborare, come per esempio accade in Italia, dove il matrimonio religioso produce effetti civili. Come l’istituto del matrimonio, tutte le materie che interessano sia la sfera religiosa che quella politica vengono canonicamente definite “res mixtae” (=cose miste, di interesse comune)
Anche l’insegnamento religioso cade sotto questa sfera e non potrebbe essere diversamente in uno stato veramente laico. Anzi, addirittura possiamo dire che l’insegnamento della religione è una cartina di tornasole per misurare la laicità di uno stato. Per capire ciò, analizziamo la situazione europea
Su 24 stati europei 3 non contemplano nessun tipo di insegnamento religioso. In queste realtà lo Stato ignora completamente un aspetto fondamentale di molti suoi cittadini
In 7 stati l’insegnamento è impartito da docenti che sono riconosciuti idonei dallo Stato. A prima vista ciò sembrerebbe una garanzia di autentica laicità, ma, se andiamo a vedere bene, in questi paesi c’è una forte tradizione religiosa di tipo protestante dove l’autorità civile è considerata allo stesso tempo una autorità religiosa, come per esempio accade in Inghilterra, dove la Regina Elisabetta è allo stesso tempo monarca del Regno Unito e Capo della Comunione Anglicana. Essendo l’anglicanesimo in un certo qual modo la religione di stato, questo forma e abilita all’insegnamento i suoi docenti. Un discorso simile vale per la Grecia di cultura ortodossa che sente ancora gli strascichi di un certo cesaropapismo.
La maggior parte degli stati (14) poi, ha un tipo di insegnamento religioso gestito contemporaneamente dallo Stato e dalle confessioni religiose maggiormente presenti sul territorio nazionale come in Italia. Solo in questo caso si può parlare di vera e autentica laicità perché lo stato non fa opera di ingerenza in questioni religiose ma richiede l’aiuto delle comunità religiose più numerose che formano (a proprie spese e senza nessun costo per lo stato come in Italia) e abilitano all’insegnamento.
Alla fine di questa nostra riflessione ci permettiamo di osservare che oggi la famiglia dell’alunno può scegliere liberamente se avvalersi o meno dell’insegnamento religioso. Nel caso in cui si introducesse un corso di storia delle religioni questa libertà verrebbe meno e le famiglie cattoliche sarebbero costrette a vedere dispensati insegnamenti religiosi da chi, nella prospettiva cattolica, non ha la competenza per farlo.
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