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Bambini strappati, un fallimento degli adulti

ITALIA – “Siamo di fronte a un sistema malato di adulti, che agiscono i conflitti sui bambini”. È il commento di Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione psicologi e psichiatri italiani, al tragico episodio del bambino di 10 anni che, in una scuola elementare a Cittadella, nel padovano, è stato portato via a forza dalle Forze di polizia, in esecuzione a un’ordinanza della sezione Minori della Corte d’Appello di Venezia, che ha disposto l’affidamento in via esclusiva al padre, con collocamento in una comunità. Le immagini dell’allontanamento forzato del bambino dalla scuola sono state trasmesse dalla trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?” su Rai Tre. Il presidente del Senato, Renato Schifani, ha chiesto chiarimenti al capo delle Forze dell’ordine, Antonio Manganelli, che ha espresso “profondo rammarico” e scuse ai familiari, e disposto un’inchiesta interna. Anche il presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, ha chiesto al governo di riferire al più presto, dopo le richieste d’informativa e delle interrogazioni parlamentari presentate da deputati di vari gruppi. Il video, ora trasmesso all’autorità giudiziaria, è stato girato dalla zia. Il padre era presente all’allontanamento, mentre il figlio opponeva resistenza perché voleva restare con la madre.

Nessuno si è fermato. “Ciò che sorprende – spiega Cantelmi al Sir – è l’incapacità di tutti gli adulti coinvolti nella vicenda di creare un minimo di contesto che aiutasse questo bambino a decodificare una situazione che a lui risulta incomprensibile”. “Nessun adulto, né la polizia, né gli assistenti sociali, né i familiari presenti, né il padre – denuncia l’esperto – si è fermato di fronte al dolore di questo bambino e ha cercato di trovare una soluzione”. Questo significa, per lo psichiatra, che “non siamo in grado di fermarci, perché i conflitti degli adulti sono vissuti e agiti sui bambini. È un dato di cui siamo tutti colpevoli, soprattutto perché incapaci di gestire i conflitti se non attraverso questa modalità, che rende i minori vittime esclusive degli errori degli adulti”.

Siamo tutti colpevoli. “In un momento così drammatico per la vita di questo bambino – spiega infatti Cantelmi – nessun adulto è stato capace di fare un passo indietro”, ma anzi “è intervenuto in maniera scomposta, rendendo ancora più drammatica la situazione”. Un “trauma”, questo, di cui il bambino “porterà il peso per tutta la vita, poiché si sentirà sempre più solo e abbandonato”. Il bambino, infatti, “probabilmente già vulnerabile, già ferito, è stato ulteriormente messo in crisi riguardo alla fiducia nella figura degli adulti, verso i quali finirà per nutrire una sostanziale sfiducia”. “Per il bambino, tutto ciò che è incomprensibile diventa violenza”, osserva lo psichiatra, che invoca per il mondo degli adulti “una maggiore capacità di mediazione”: a partire dalla scelta “del luogo più adatto per risolvere i conflitti, che non è certamente la scuola”. Quanto alle immagini del prelievo forzato del bambino davanti alla scuola, diffuse in tv, Cantelmi osserva che, “poiché non è l’unico caso del genere, possono aiutarci a riflettere su un discorso che va affrontato su un piano generale”. Tuttavia, per Cantelmi resta il fatto che “si tratta di immagini molto violente, che non rendono ragione di tutto ciò che c’è dietro e dunque possono portare a giudizi molto severi, scatenando la caccia al colpevole e distraendo invece l’attenzione da un sistema malato di adulti”.

Episodio gravissimo. “La notizia dell’allontanamento, nelle modalità con cui è stato effettuato, ha profondamente sconvolto il Consiglio dell’Ordine degli assistenti sociali del Veneto”, ha dichiarato la presidente dell’Ordine, Patrizia Lonardi: “Dietro questi episodi – si legge in una nota – quasi sempre ci sono storie di vita molto dolorose e molto complesse. L’interesse e la tutela dell’integrità del minore devono comunque e sempre prevalere su tutto. Episodi di questo genere sono gravissimi e devono far riflettere sulla necessità di forti e competenti assunzioni di responsabilità rispetto al bene primario del minore da parte della famiglia e di tutte le istituzioni”.

Non aggiungere violenza a violenza. “La comunicazione può avere una fondamentale funzione civile. Una donna angosciata riesce a documentare con un telefonino l’azione violenta e sconsiderata di alcuni agenti di polizia ai danni di un bambino, e l’informazione può dare così il giusto, grande risalto ad una vicenda che appena pochi anni fa sarebbe stata messa a tacere. Ma è violenza che si aggiunge alla violenza della polizia quella che sul bambino hanno compiuto i troppi media (non tutti, per fortuna e per senso di responsabilità deontologica) che hanno trasmesso il video senza preoccuparsi di rendere non identificabile il suo protagonista”. È la posizione espressa da Roberto Natale, presidente della Federazione nazionale della stampa, sul modo in cui media hanno trattato la vicenda. “Non se ne può più di un’informazione priva di senso del limite, che ogni volta deve fare sacrifici umani al dio spietato della spettacolarizzazione”, osserva Natale, secondo il quale “non c’era nessun bisogno di darne il nome, né di far vedere il volto. Sarebbe stato sufficiente adottare pochi, elementari accorgimenti tecnici”.

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