I vescovi francesi hanno reagito domandando che su questo tema si apra il più ampio e laico dibattito, perché ci sia una riflessione condivisa e approfondita. Questa, probabilmente, è la strada più giusta da percorrere. Infatti, il bene del matrimonio e della famiglia, come si sono conosciuti finora, appartengono a tutti: sono patrimonio dell’umanità.
I vescovi francesi con molta saggezza chiedono di fermarsi e di valutare quello che si sta facendo, esaminando anche il progetto: scomparirebbero i termini di padre o madre, di moglie e di marito, di nonno e di nonna. Perché verrebbe meno una verità essenziale: l’uomo e la donna sono differenti, non per farsi lotta, ma per essere complementari; la mascolinità e la femminilità s’incontrano e si completano a vicenda in tanti ambiti della vita, di cui uno specifico è quello del matrimonio, ove tutto è sotto il segno dell’amore. Da questa complementarietà nasce la potenziale apertura alla vita: non è secondario che un figlio sia concepito nell’unione di un uomo e di una donna e nasca e cresca in questo contesto che è bipolare.
Riscrivere tutto questo non se ne capisce il motivo. A meno che non si pretenda che gli orientamenti fondamentali, che hanno retto il vivere sociale da millenni sino ad oggi, debbano passare in secondo piano davanti a desideri, formulati come diritti, di alcuni. Ad esempio quello di una coppia omosessuale che desidera avere un figlio. Il desiderio diverrebbe un diritto talmente forte che i governanti dovrebbero riconoscerlo e tutelarlo. Occorre fermarsi e ragionare: si ha diritto ad un figlio o, piuttosto, non bisogna dire che esiste il diritto di un figlio a nascere in un contesto matrimoniale, dove i genitori saranno quelli che lo accoglieranno e lo educheranno in una bipolarità di relazioni?
Queste riflessioni appartengono all’ambito della legge naturale, cioè a quei significati iscritti nel progetto dell’uomo, come espressione del buon ordine che il Creatore ha voluto. Hanno un fondamento religioso, ma sono accessibili alla ragione, a meno che non si conferisca a questa la delega a riscrivere l’uomo da capo. Le obiezioni agli insegnamenti della legge naturale sono svolte sotto il segno dell’arbitrio personale, come all’abolizione della parola padre o madre.
Riportare le cose al piano della gente comune significa far riferimento e appellarsi al buon senso comune, a ciò che ciascuno ritrova facilmente in se stesso come a un insegnamento che precede ogni desiderio individuale. Significa far riferimento a quello che, proprio perché si è vissuto e ricevuto, si desidera per gli altri. Tolte le eccezioni che, proprio per questo esprimono casi drammatici, ciascuno è nato da due genitori ed è cresciuto sotto il segno della cura materna e di quella paterna. I genitori in modo diverso e armonico plasmano e arricchiscono i figli, che divenuti adulti riconosceranno con gratitudine quello che padre e madre hanno fatto di loro. Studi scientifici di pedagogisti e psicologi documentano l’incidenza del ruolo distinto di ciascun genitore sul figlio a partire da un’età precocissima.
La questione di che cosa siano matrimonio e famiglia va portata al piano del senso comune; esso esiste ed è più diffuso di quanto si pensi; esso insegna che prima di ogni altra riflessione ci sono alcune evidenze primarie che riguardano l’esistenza umana universale.
Sono come giudizi sull’esistenza, non fondati su altro che non su un’unità generale di senso. Cambiare uno di questi elementi, significherebbe modificare e far cadere un consenso inespresso, ma reale, su cui si fonda il vivere umano. Senso comune di tutti gli uomini, che facilmente diventa “buon senso”.
I vescovi francesi chiedono di mettersi su questo piano, dove altri progetti di riscrivere il matrimonio e la famiglia appaiono in realtà come elucubrazioni o discorsi fatti a uso di qualcuno. Avvertono la responsabilità che altri – forse gli stessi figli, cui si nega volontariamente un padre o una madre – un domani ne domandino conto. Così la preoccupazione non è più solo della Chiesa, ma tocca l’intera società.