Cosa significa “educare gli adulti alla fede”?
“Significa rimettere al centro la questione educativa, che riguarda la fede ma anche tutta la vita. Vuol dire riscoprire una modalità d’incontro, di trasmissione dell’esperienza di fede, capire cosa c’entra con la vita. Educare alla fede permette di guardare dal di dentro della persona alla vita di ogni giorno e alle scelte che pone davanti, consente di relazionarsi con chi ci sta intorno, credenti e non”.
Il tema si collega con l’Anno della fede da poco iniziato…
“Certamente. L’esperienza di quest’Anno è preziosissima per guardare alla vita di fede con occhi diversi: non è solo qualcosa di privato, ha pure una dimensione sociale”.
In una società connotata dall’individualismo si possono educare adulti e giovani alla famiglia?
“La famiglia è il luogo in cui si realizza l’incontro tra generazioni ed è possibile imparare a relazionarsi. È un capitale sociale importantissimo oggi, un discorso che va al di là dell’appartenenza religiosa, dell’essere o meno credenti. La famiglia è davvero la sfida più importante in questo momento, come luogo in cui ci s’incontra, si va a fondo e si apprende tutta una serie di valori laicissimi: s’impara la cittadinanza, il prendersi cura l’uno dell’altro”.
L’attuale crisi come influisce sull’educazione e sulla famiglia?
“Senz’altro la crisi economica, che prima di tutto è una crisi morale, ci rende più essenziali e ci fa capire da dove e come ripartire. Certo, la situazione delle famiglie oggi è grave dal punto di vista economico, ma ancor più relazionale. Però non dobbiamo limitarci a ragionare in termini astratti, bisogna farsi carico delle difficoltà, al fine di promuovere una famiglia attiva, protagonista anche di fronte a una politica che, pure in questi ultimi tempi, continua a essere ‘fragile’”.
Di fronte alle difficoltà delle famiglie, ci sono prospettive per un futuro di speranza?
“Sicuramente dobbiamo guardare al futuro con speranza. Il cristiano deve crederci nella speranza incarnata, una speranza che si può trasmettere a chi è vicino, anche se non condivide la medesima fede. Dobbiamo avere il coraggio di mettere al centro la questione intergenerazionale. Viviamo in un momento in cui il figlio, ossia la nuova generazione, il futuro, non viene considerato come un investimento. È lì la chiave di volta per cambiare: anche la questione fiscale non può non considerare la famiglia come soggetto in cui c’è la presenza dei figli, che sono un investimento e in nessun caso possono essere invece considerati un peso. Siamo in un’Italia vecchia e la questione del calo demografico è da affrontare: diamo dei segnali. È dalle nuove generazioni che passa il futuro”.
Come giudica le ultime manovre fiscali – quelle legate alla legge di stabilità – in rapporto alle famiglie italiane?
“Bisogna che la questione fiscale venga riproposta mettendo al centro i carichi familiari, come finora non è mai avvenuto. È una questione di equità, altrimenti si realizza una discriminazione, soprattutto nei confronti delle famiglie numerose. Investiamo sui nostri figli, fino in fondo, per la vivacità di un Paese che, altrimenti, lentamente sta morendo. Non si risolve il problema solo con le misure fiscali. La famiglia è un soggetto economico, fiscale, politico e culturale, e dobbiamo riconoscere che il nostro Paese, al momento, non è a misura di famiglia”.
Il territorio quale contributo può dare per rendere concreta questa vivacità?
“Il territorio legge i bisogni delle persone. È lì che si vive l’esperienza concreta: è così per la scuola, per la sanità ecc. Il territorio è la società civile, le istituzioni, tutto un vissuto di esperienze associative di cui l’Italia è ricchissima e che suppliscono in modo sussidiario laddove le istituzioni non arrivano. Abbiamo bisogno di uno Stato, di un governo che ‘governi’ questa ricchezza di esperienze, riconoscendo l’importanza di un privato sociale che entra in aiuto del pubblico ai vari livelli. Servono una maggiore sensibilità e una stima sussidiaria tra le istituzioni, affinché insieme si risponda alle esigenze della gente. Ci vogliono un giusto equilibrio tra i vari livelli e una politica vera, che ci assicuri una reale democrazia”.