Cecità interiore
La fede, come ci ha ricordato Papa Benedetto XVI nella sua lettera di indizione dell’Anno della Fede, è la porta che ci consente di accedere al cuore di Dio, al mistero ineffabile dell’amore che Lui ha per ciascuno di noi. È la luce che ci consente di incontrare Gesù, il quale continua a proporci un cammino di liberazione che ha come meta l’esperienza sublime di una vita piena e gioiosa. Ma la fede è anche la porta di accesso al grande mistero della nostra esistenza. Ci svela anche il senso del nostro vivere quotidiano, molto spesso altalenante tra gioia e sofferenza, peccato e grazia, prove e consolazioni, e che Dio solo conosce.
L’esperienza di Bartimeo, proposta dalla liturgia della XXX Domenica del Tempo Ordinario, è singolare e ci mostra come anche la malattia può trasformarsi in occasione di grazia e chiamata alla sequela.
Mi commuove sempre questo brano del Vangelo, che mi riporta ai primi giorni di Seminario, quando il Rettore nel proporcelo, ci invitava a riconoscere la nostra cecità e a vivere la sequela come abbandono fiducioso al Signore. Sì, perché solo ammettendo di essere ciechi interiormente, possiamo disporci ad accogliere con gioia la proposta di Gesù. Egli, infatti, operò questo miracolo alle porte di Gerico, anche per far capire ai discepoli che essi erano ciechi, incapaci cioè di comprendere il suo disegno salvifico.
La cecità è una delle prove più dolorose che possa capitare nella vita di un uomo. Non riuscire a vedere ciò che lo circonda e apprezzarne la bellezza è causa di profonda umiliazione, accentuata anche dal fatto di non essere pienamente autonomi e dipendere in gran parte da qualcuno. Ma chiunque ha avuto modo di conoscere qualche persona non vedente, sarà rimasto sicuramente colpito e stupito dalla sua capacità di riuscire a cogliere la concretezza e anche la bellezza delle cose e delle persone, mediante una spiccata sensibilità dell’udito, del gusto e del tatto. Umiliata, sì, nella vista, ma non nella conoscenza e nella percezione della realtà, molto più profonda rispetto a chi vede.
Mi piace leggere così, l’episodio del figlio di Timeo della città di Gerico. Quel giorno, mentre era seduto lungo la strada a mendicare, sentì Gesù che passava. Sicuramente sentì con le sue orecchie, dal momento che Gesù nel muoversi da un villaggio all’altro non era mai solo ed era sicuramente preceduto da qualcuno che annunciava con entusiasmo il suo arrivo, ma sono convinto che il suo sentire sia stato principalmente interiore. Dentro di noi, infatti, molto spesso avvertiamo e sperimentiamo l’umiliante cecità che ci paralizza, ci impedisce di comprendere il senso di ciò che accade, una cecità causata spesso dalle paure, dalle insicurezze, dai dubbi, dalle preoccupazioni, dal non sentirci amati e accolti, dalla sfiducia in se stessi e negli altri, insomma, dal nostro limite e dal nostro peccato.
Ma il nostro cuore sa custodire anche un grande desiderio, quello di vedere Cristo Gesù, la luce apparsa nel mondo per donare a tutti pienezza di senso e di vita. Luce che dona uno sguardo nuovo su ciò che ci circonda insegnandoci a scorgerne e apprezzarne il riflesso della bellezza di Dio. E a partire da tale desiderio, di vedere e accogliere Colui che può salvarci, non possiamo restare in silenzio. Ma gridiamo con forza e insistenza: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!”, cioè, “Gesù, accorgiti di me, liberami da ciò che mi opprime e mi isola dal fratello, aprimi gli occhi della mente e del cuore perché possa vedere e gustare la bellezza della vita, donami il coraggio di alzarmi e camminare sicuro, dietro di te, per le strade del mondo, apri la mia bocca per poter gridare a tutti la gioia di averti incontrato”.
Coraggio, fratello e sorella, scruta il tuo cuore e ascolta quella voce che ti chiama a lasciare le tue sicurezze per incontrare e seguire il Signore della vita. Quale scuola migliore della famiglia per educarsi a saper riconoscere e ascoltare la voce del Signore che passa?
Per riflettere:
Ho sufficiente cura della mia interiorità?
Quali difficoltà riscontro?
In questo momento della mia vita, quale desiderio alberga nel mio cuore e motiva le mie scelte quotidiane?
Sono disposto ad abbandonare le mie sicurezze per accogliere con fiducia la proposta di Gesù?
Per la preghiera personale:
Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai.
Tu eri dentro di me ed io ero fuori. Lì ti cercavo.
Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature.
Tu eri con me, ma io non ero con te.
Mi tenevano lontano da te le tue creature,
inesistenti se non esistessero in te.
Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità;
balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità;
diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te,
gustai e ho fame e sete;
mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace. (S. Agostino, Confessioni X, 27, 38)