ITALIA – Sfiora quota 2,8 milioni il numero, record, dei disoccupati in Italia, con il tasso di disoccupazione che, a settembre, tocca il 10,8%. Lo rileva l’Istat, sottolineando che l’aumento rispetto ad agosto è di 0,2 punti percentuali e di 2 punti nei dodici mesi. Il livello più alto raggiunto dal gennaio 2004, l’inizio delle serie storiche mensili, e, guardando alle serie trimestrali, è il valore più alto dal terzo trimestre 1999. Un dato drammatico e lo è ancor più per i giovani. Il tasso di disoccupazione fra i 15 ed i 24 anni a settembre è salito al 35,1%, in aumento di 1,3 punti percentuali su agosto e di 4,7 punti su base annua, dati destagionalizzati e provvisori. Fra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 608mila e rappresentano il 10,1% della popolazione in questa fascia d’età. Su questi numeri, resi noti oggi dall’Istat, Daniele Rocchi per il Sir ha chiesto un parere a Giovanni Gut, membro dell’Esecutivo nazionale del Movimento cristiano lavoratori (Mcl) e referente per i giovani Mcl.
Cosa pensa di questi dati?
“Sono numeri che rivelano la drammaticità della crisi che stiamo vivendo. E’ grave che una fascia così alta di popolazione venga esclusa dal mercato del lavoro, grave anche per quello che ciò comporta, avere una retribuzione, scoprire il proprio ruolo nella società, costruirsi un futuro. Siamo di fronte ad una emergenza nazionale”.
Un’emergenza che ormai dura da diversi anni: ma quali sono le cause a suo avviso?
“Si tratta di un problema che ci portiamo dietro da lunghissimi anni e che la crisi non ha fatto altro che accentuare. Il problema grande, non riguarda solo il mercato del lavoro, ma è la struttura stessa del mondo del lavoro. A questo si aggiungano anche grosse pecche nel sistema educativo e formativo che è privo di quel necessario raccordo tra educazione e formazione e lavoro. Ci si rende conto che si esce dalla scuola con dei curricola inadeguati a rispondere alle richieste del mondo del lavoro, con delle competenze non sviluppate e quindi non si è capaci a mettere a frutto il potenziale che si possiede. Ed è sintomatico che ciò riguarda non solo chi ha interrotto anzitempo il proprio percorso scolastico e formativo ma anche chi ha un iter di studi completo. Non si può considerare il lavoro come un momento successivo allo studio. Intendo dire che non sempre quello che si studia viene visto in ottica lavorativa. Serve più compenetrazione tra mondo della scuola e del lavoro. Esiste, inoltre, una mancanza di riciclo nel mondo del lavoro, chi è dentro, anche se ciò non è più come una volta, rimane tutelato, ma per chi è fuori entrare non è per nulla semplice”.
Quali soluzioni concrete è possibile adottare per fare fronte a questa emergenza?
“Una soluzione, una ricetta non esiste. Da un po’ di tempo ci si è mossi bene nella direzione del contratto di apprendistato, che non va visto semplicemente come un canale di inserimento ma come un’offerta per superare quel frazionamento che esiste tra mercato del lavoro e formazione. Appare evidente, tuttavia, che se non ripartono l’economia e la crescita, nessun strumento legislativo porterà a nuovi sbocchi. Ed è anche questo uno dei motivi per cui molti vanno all’estero, in Paesi dove si registrano segnali di ripresa e dove è possibile avere qualche successo. Ma la ripartenza economica non può dipendere solo dall’Italia ma da tutta l’Unione europea”.
Dall’Ue, però, arrivano anche segnali contrastanti, basti pensare alle difficoltà di rifinanziare i progetti Erasmus…
“L’Erasmus, ma anche altri progetti come Socrates, permette a molti studenti di confrontarsi con realtà estere ed acquisire una visione europea da spendersi in prospettiva futura. Resta il fatto che ci sono Paesi, come la Germania, dove l’apprendistato è un canale privilegiato, i numeri della disoccupazione sono molti diversi dai nostri”.
Questi dati Istat confermano o sconfessano il ministro Fornero sui giovani ‘choosy’, schizzinosi?
“Quella del ministro Fornero è stata un dichiarazione un pochino infelice. Io credo che i giovani non siano così schizzinosi, anche se va data ragione al ministro quando dice che è comunque importante entrare nel mondo del lavoro, anche se questo non deve essere inferiore alle proprie aspettative. A volte – e la crisi ce lo conferma – ci si deve accontentare di certi tipi di lavoro. Questi se sono fatti nella prospettiva del sacrificio possono assumere una valenza positiva, assolutamente negativa, invece, se celano situazioni di sfruttamento che vanno perseguite in termini di legge. I ragazzi non sono schizzinosi, ce ne sono tanti che si danno da fare pur di lavorare. Spetta alle Istituzioni e alla politica far si che queste situazioni non diano adito a sfruttamento e che i giovani siamo messi in condizione di poter sfruttare al massimo le proprie potenzialità. Aiutare i giovani a scommettere su loro stessi, ad investire sulle loro capacità è un segno di speranza in un momento di crisi come l’attuale”.