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Ebrei e Cattolici, la bussola del dialogo

VATICANO – “Di fronte agli ebrei, il Santo Padre mi ha incaricato di presentare la questione in maniera corretta: ‘Nostra aetate’ non è minimamente rimessa in discussione dal Magistero della Chiesa, come il Papa stesso ha più volte dimostrato con i suoi discorsi, i suoi scritti ed i suoi gesti personali nei confronti dell’ebraismo; un riavvicinamento con la Fraternità sacerdotale San Pio X non significa assolutamente che le posizioni di detta Fraternità vengano accettate o appoggiate”. La questione lefebvriana è il nodo cruciale affrontato dal card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, parlando nei giorni scorsi alla Plenaria della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo che si è tenuta in Vaticano dal 28 al 30 ottobre. È la terza volta (dopo gli incontri del 1982 e del 2005) che la Commissione organizza una plenaria riunendo a Roma i consultori e i delegati delle singole Conferenze episcopali, responsabili per i rapporto con l’ebraismo. Tra le questioni affrontate durante l’incontro, un bilancio sui dialoghi intrapresi, una panoramica delle iniziative locali, la possibilità di introdurre una “Giornata dell’ebraismo” a livello delle singole Conferenze episcopali e la celebrazione del 50° anniversario di “Nostra aetate” che avrà luogo il 28 ottobre 2015.

La possibile riammissione della Fraternità San Pio X. Nella prolusione – diffusa il 6 novembre – il card. Kurt Koch, che presiede la Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l’ebraismo, dedica il primo paragrafo alla “questione lefebvriana” per chiarire dubbi e false interpretazioni generate dalla “possibilità di una riammissione della Fraternità sacerdotale San Pio X nella Chiesa cattolica romana” e riaffermare che la dichiarazione conciliare “Nostra aetate” è e rimane “a tutt’oggi il documento fondante, la Magna Charta del dialogo della Chiesa cattolica romana con l’ebraismo” nonché “la bussola cruciale di tutti gli sforzi tesi a promuovere il dialogo ebraico-cattolico”. Il cardinale precisa: “È stata sollevata, e non solo da parte ebraica, la questione dell’importanza e della validità della Dichiarazione conciliare ‘Nostra aetate’. Gli ebrei temevano che, attraverso un eventuale atto di reintegrazione di una serie di sacerdoti e credenti con tendenze antigiudaiche, i quali respingono fondamentalmente ‘Nostra aetate’, la Chiesa cattolica potesse dare una nuova direzione al dialogo con l’ebraismo o quanto meno che l’importanza di questa Dichiarazione conciliare per tutta la Chiesa potesse essere relativizzata”. Anche “da parte cattolica – aggiunge il card. Koch – a volte sono state udite voci” secondo le quali “Nostra aetate” farebbe parte delle “Declarationes” che avrebbero una minore importanza ed il cui carattere vincolante potrebbe essere considerato più limitato rispetto a quello degli altri testi. Ma non è così perché “dal punto di vista del contenuto” tutti i testi conciliari “non possono essere separati gli uni dagli altri o contrapposti” ma devono essere “visti e considerati seriamente nella loro interrelazione”.

“Nostra aetate” e gli ebrei. “Nostra aetate” ricorda “il profondo legame che unisce spiritualmente il popolo della Nuova Alleanza alla stirpe di Abramo”. “Essa – prosegue il card. Koch – afferma in maniera decisa che deve essere evitato ogni disprezzo, svilimento e oltraggio nei confronti dell’ebraismo e, ancora di più, sottolinea esplicitamente le radici ebraiche del cristianesimo. Viene inoltre scardinata l’accusa di ‘deicidio’ che sfortunatamente è stata rivolta in blocco agli ebrei in vari luoghi nel corso dei secoli”. E nella lotta contro ogni forma di antisemitismo, “gli ebrei continuano pertanto ad essere confortati dalla speranza di poter ancora avere nella Chiesa cattolica un’affidabile alleata nella lotta contro l’antisemitismo, che nel mondo odierno non è stato tutt’ora estirpato”.

Benedetto XVI e gli ebrei. Gratitudine è stata poi espressa dal card. Koch per gli sforzi di dialogo intrapresi da Benedetto XVI “fin dall’inizio del suo pontificato” per “intensificare le relazioni con gli ebrei. Su ciò – ribadisce il cardinale – non può sussistere alcun dubbio”. E nel ricordare le tappe più importanti di questa storia di “amicizia” tra il Papa e gli ebrei, il cardinale chiosa: “Possiamo affermare con gratitudine che nessun altro Papa nella storia ha visitato tante sinagoghe quanto Benedetto XVI”. Anche i dialoghi intrapresi con l’“International Jewish Committee on Interreligious Consultations” (Ijcic) e il Gran Rabbinato di Israele hanno contribuito nel corso di questi 40 anni a tessere rapporti così che “il tradizionale scontro si è trasformato in proficua collaborazione, la bellicosità è stata sostituita dalla capacità di gestire positivamente i conflitti e la semplice coesistenza è divenuta solida amicizia. I legami di amicizia intessuti in questo periodo si sono rivelati resistenti, di modo che è stato possibile affrontare insieme anche temi controversi senza correre il rischio di arrecare danni duraturi al dialogo”.

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