Dal settimanale Diocesano n. 38 del 4 novembre
Di Alessandro Ribeca – autore del romanzo La luce nei tuoi occhi
Silvia ha il giornale in mano, indica l’articolo della sentenza sui geologici che non hanno previsto il terremoto a L’Aquila, o che non hanno avvertito la popolazione del pericolo imminente, non mi è ben chiaro. Silvia ha il giornale in mano e mi parla di Matteo che non c’è più. Ha ancora un ricordo vivo di lui. Matteo studiava e non aveva paura di stare là, perché dicevano che non c’era nulla da temere, perché la situazione era tranquilla, perché era tutto normale: “una scossetta al giorno c’è sempre”. Lo leggeva sui giornali, al bar dell’Università. Magari, tra amici, ci si scherzava anche su… Ne parlava con Silvia, pure il giorno prima ne aveva parlato. Si fidavano dei geologi, della televisione, del buon senso. Forse se avessero dato un piccolo allarme, se avessero trasmesso un minimo dubbio, non sarebbe andata così. Certo, le case sarebbero crollate, ma molti si sarebbero salvati. Forse il suo amico si sarebbe salvato. Forse… già, forse… Provo a dirle qualcosa, con il dubbio di sbagliare, un dubbio umano. Parto da una domanda.
Cara Silvia, questa sentenza, oggi, cosa ci sta dicendo? A me sembra che sia una sentenza che rispecchia una mentalità ben precisa. A me sembra che ci sia un pensiero dominante ormai, un pensiero che si è diffuso negli ultimi decenni secondo il quale l’uomo può tutto: non c’è un Dio, non c’è un fato, non c’è un destino… ognuno lo chiami come vuole… A me sembra che ci sia sempre bisogno di trovare una colpa umana a tutto ciò che ci accade e un uomo colpevole, forse perchè ci aiuta ad affermare l’onnipotenza umana rendendoci più tranquilli.
Io questo modo di pensare lo trovo un inganno, un’illusione bella e buona.
In verità, a me capita il contrario: se tutto dipendesse da me, non mi sentirei molto tranquillo. Anzi, ho proprio bisogno di dipendere da qualcun’altro. La mia è una logica diversa, strana direi per questi tempi. È la logica della fede. Solo la porta della fede (come la chiama Benedetto XVI nella sua ultima lettera) può darci una possibilità in più e cioè quella di aprirci all’ignoto, in quanto non riusciamo a spiegarci tutto, e affidarci a un Altro.
In una puntata del Dr. House, il Dr. House è sotto ispezione perché, a causa dei suoi metodi diagnostici poco ortodossi, un paziente è morto. Di fronte all’ispettore, il Dr. House dice che gli ispettori hanno sempre bisogno di trovare un colpevole, ma non è detto che ci sia sempre questo colpevole. Anzi! Egli è certo, invece, che i suoi metodi funzionano proprio perché molti si salvano e qualcuno muore. Pensare di salvare tutti sarebbe solo presunzione che porterebbe ad un delirio di onnipotenza. Qualche volta il fallimento ci ricorda la nostra umanità, la nostra fragilità con la quale dobbiamo purtroppo fare i conti. Ed è qui che la fede mi sostiene.
Purtroppo c’è anche un aspetto ironico in tutta questa storia, perchè è stata una parte della comunità scientifica ad aver sostenuto sempre di più, negli ultimi decenni, un diffuso positivismo, e cioè l’idea che tutto è sotto il controllo dell’uomo, che nulla ci sfugge, dalla genetica all’Universo, fidandosi ciecamente nella scienza stessa. Ed è proprio la scienza che oggi viene bastonata dalla sua mentalità.
Ora Matteo non c’è più e forse non ha bisogno delle sentenze umane per sentirsi in pace, non ha bisogno di trovare un colpevole. Queste cose sono necessarie a noi, giustamente, ma altrettanto giustamente va cercata la verità e non un colpevole. Tutti vogliamo giustizia, anche se sappiamo che nessuno mai ci ridarà l’affetto delle persone care, perchè la giustizia che trova la verità è sempre un bene, ma non è detto che la verità sia necessariamente quella dei tribunali che ragionano con le leggi (umane) e non con lo sguardo sulla realtà tutta.
Se poi, cara Silvia, vogliamo lasciar perdere tutti questi discorsi e restare intrappolati tra le colonne dei giornali e i commi delle leggi, forse qualche colpevole possiamo trovarlo veramente. Io magari lo cercherei tra chi avrebbe dovuto controllare gli edifici, e non tra chi avrebbe dovuto prevedere un terremoto e dare un profetico allarme su qualcosa che non è prevedibile…
Lo so, Silvia, che non riesco ad entrare nel tuo cuore, che le mie parole non sanno alleviare le tue sofferenze, non ricolmano un vuoto, ma non era questo il mio intento. Spero semplicemente che ti aiutino a guardare la realtà da una prospettiva nuova. Tutto qui.