CARPI – “Ritornate a me con tutto il cuore (Gioele 2,12). Per superare la drammatica esperienza del terremoto e vincere la paura” è il titolo della lettera che mons.Francesco Cavina, vescovo di Carpi, ha diffuso nella sua diocesi a sei mesi dal sisma del 20 e 29 maggio, che ha distrutto quasi tutte le chiese e gli ambienti della vita pastorale. La riflessione di mons. Cavina è il frutto dell’esperienza di questi mesi, di un terremoto vissuto sulla propria pelle. Le pagine sono rivolte a tutti: anche a coloro che si ritengono non credenti e sono stati profondamente turbati da un evento come il terremoto e da tutto ciò che si è portato dietro in termini di relazioni, convinzioni e crollo di certezze, affinché possano incontrare qui motivi su cui riflettere. Perché la fede e la ragione, ricorda mons. Cavina, non sono in antagonismo, ma sono le due vie per conoscere la verità su Dio, sull’uomo e, quindi, su noi stessi.
Un gigante con le gambe d’argilla. La lettera inizia dalla consapevolezza di ciò che ha suscitato umanamente il sisma. “In effetti – scrive il vescovo – è terrificante avvertire il boato del terremoto, osservare impotenti il pavimento che balla sotto i piedi, notare i muri che scricchiolano e dondolano e pensare di finire sotto le macerie. Il terremoto non ha scosso solo la terra, ma ha seminato desolazione e morte, ha fatto crollare abitazioni e attività economiche, ha distrutto paesi o quartieri con la loro storia e cultura. Inoltre, ha fatto emergere la fragilità delle certezze sulle quali avevamo costruito la nostra vita e la nostra società: credere che il futuro fosse solo nelle nostre mani e che nulla e nessuno avrebbe potuto metterlo in discussione. In realtà abbiamo dovuto prendere atto che le nostre sicurezze erano un gigante con le gambe d’argilla. Insieme a questo disastro materiale abbiamo conosciuto sentimenti desolanti e devastanti quali l’incredulità, la paura, l’incertezza, l’impotenza, lo smarrimento interiore”. Ma “l’immane tragedia del terremoto” è proprio “un richiamo forte a ripensare le scelte della vita, a riflettere ‘su cosa’, o meglio, ‘a Chi’ vogliamo affidare la consistenza della nostra vita, e quindi a recuperare una dimensione costitutiva della vita che è quella della trascendenza, cioè il riferimento a Dio”.
Il valore e la forza della preghiera. Mons. Cavina prosegue nella riflessione citando Gioele: “Nel libro del profeta troviamo un appello quanto mai attuale: ‘Ritornate a me con tutto il cuore’. La fragilità conosciuta, l’insicurezza che attanaglia la nostra vita, l’esperienza devastante della paura possono divenire un’occasione propizia per una riflessione seria, profonda, sincera e costruttiva su Dio, sul valore della persona, sul senso della vita, sulla dignità della persona umana. Scrive Pascal che ‘noi conosciamo la verità non soltanto con la ragione, ma anche con il cuore e che il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce’. Ebbene, è sufficiente guardarsi al fondo della propria natura per accorgerci che il nostro cuore aspira a un ‘di più’ perché, l’uomo ‘ha bisogno dell’infinito’. Per potere scoprire la relazione Uomo-Infinito è necessario riconoscere e accettare la nostra fragilità”. Condizione umana che san Paolo descrive bene attraverso un’immagine efficace: “L’uomo è come ‘un vaso di creta’”. Ciò è possibile solo attraverso la riscoperta del valore e della forza “della preghiera, dell’incontro con Dio nel sacramento dell’Eucaristia e della Confessione… Solo se ritorneremo al Signore sapremo superare la drammatica esperienza del terremoto e vincere la paura… Il dolore, la tristezza, lo sconforto sono vinti solo dall’amore che si fa condivisione e corresponsabilità”.
La medicina per spazzare via i timori. “La speranza cristiana – riflette mons. Cavina – rifiuta due opposte tentazioni, forti come non mai nell’ora della prova. La prima è la tentazione della disperazione, per la quale il male presente è talmente grande da schiacciare ogni possibilità di resurrezione e di vita… L’altra tentazione contro la speranza, oltre che contro la giustizia, è quella della temerarietà. È l’atteggiamento di chi non si confronta con il mistero di Dio, e presume di costruire il proprio futuro mettendo in atto i propri progetti più o meno egoistici”. Ma “noi non siamo creature che durano un giorno, ma figli Suoi per sempre… La nostra sicurezza non ha altro sicuro fondamento che la nostra filiazione divina. ‘Gettate in Lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi’, raccomandava san Pietro ai primi cristiani. È nel fatto di essere figli di Dio, e lo siamo realmente, che noi troviamo la protezione di cui abbiamo bisogno, il calore paterno, la sicurezza del futuro. Questa certezza ci permette di abbandonarci con semplicità nella mani del Padre di fronte all’incognita del domani e ci dona la convinzione che dietro a tutti i casi della vita c’è sempre una nascosta ragione di bene. Come dice san Paolo: ‘Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio’”. Infine, “quando ci sembra che tutto crolli davanti ai nostri occhi, non crolla nulla, perché, dice il salmista, ‘Tu sei il Dio della mia difesa’. Se Dio abita in noi, tutto il resto si supera. Questa è la medicina per spazzare via dalle nostre vite timori, tensioni, ansietà, rassegnazione, disperazione”.