AFRICA – Ancora oggi in Africa molte mamme e molti bambini muoiono perché non hanno la possibilità di avere servizi sanitari adeguati, in particolare al momento del parto. È nato così, quasi un anno fa, il progetto di Medici con l’Africa Cuamm (Collegio universitario aspiranti medici missionari –www.mediciconlafrica.org), “Prima le mamme e i bambini”, che interessa gli ospedali di Chiulo (Angola), Wolisso (Etiopia), Aber (Uganda) e Tosamaganga (Tanzania) con un tipo di intervento che privilegia il rapporto attivo con le comunità locali, le autorità sanitarie pubbliche e i servizi privati non profit. In Angola per dare alla luce il proprio figlio muoiono 14 mamme su 1.000, in Etiopia 7, in Uganda 5, in Tanzania 9. In Italia il dato è di 0,04. Nell’arco dei cinque anni del progetto saranno assicurati complessivamente oltre 125.000 parti assistiti. I primi risultati sono stati presentati a Roma nei giorni scorsi. A don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, Gigliola Alfaro per il Sir ha chiesto un bilancio.
Don Carraro, avete raggiunto gli obiettivi prefissati?
“Sì e per questo siamo contenti. Stiamo lavorando in progetti che coinvolgono ospedali diocesani, ma è chiaro che non è possibile fare tutto da soli, perciò è stato fondamentale stringere da subito accordi con il governo, attraverso impegni formalizzati all’interno del partenariato pubblico e privato in tutti e quattro i Paesi. Questo era uno degli obiettivi del primo anno. Il secondo risultato è stato far partire 15 persone, tra medici, ostetriche e infermieri, con l’obiettivo non solo di assistere, ma anche di formare il personale locale. Questa è un’attività indispensabile: basti pensare che in Etiopia c’è un’ostetrica ogni 20mila partorienti. I corsi di formazione durano tre anni. In ciascun ospedale il numero medio di partecipanti è stato 25. Ogni anno del progetto sarà avviato un nuovo corso di formazione, per coinvolgere un maggior numero di persone. Servono, infatti, persone formate non solo negli ospedali, ma anche nei centri sanitari periferici, che costituiscono un filtro rispetto all’ospedale. Le gravidanze non a rischio possono essere gestite in strutture di primo livello, ma quando viene identificata una gravidanza a rischio, la futura mamma deve essere immediatamente trasferita in strutture di secondo livello come gli ospedali rurali”.
Quanti parti assistiti sono stati realizzati quest’anno?
“L’obiettivo prefissato per il primo anno era di 16 mila parti assistiti nelle quattro strutture ospedaliere, mentre siamo arrivati a 20.237. Quindi abbiamo superato le aspettative di quattromila unità. Questo vuol dire che, umilmente, abbiamo aiutato a partorire in maniera dignitosa, sicura e gratuita 20 mila mamme, garantendo, così, anche la vita dei loro figli. Quindi, complessivamente abbiamo aiutato 40 mila persone ad affrontare la nascita nel modo migliore e a non vederla trasformata in una tragedia, come succede quando muoiono le mamme e anche i figli. Un’attività come la nostra riduce i numeri della mortalità materna e neonatale. Di questo grande risultato siamo orgogliosi”.
Ci sono anche visite prenatali?
“Sono previste quattro visite prenatali, ma, in realtà, mentre alla prima vengono tutte le future mamme, alla seconda sono il 50-60% e poi diminuisce ancora la percentuale, perché spesso le donne vivono lontane e i trasporti costano molto. Oltre a garantire la gratuità per accedere alle strutture ospedaliere, il nostro progetto punta a migliorare l’accessibilità geografica. Infatti, uno dei grandi problemi nelle zone rurali dell’Africa, dove lavoriamo, è la difficoltà negli spostamenti per giungere all’ospedale o al centro sanitario rurale; le mamme più periferiche non solo non hanno i soldi per l’ospedale, ma neanche quelli per pagarsi il trasporto con l’autobus, il carretto o la barella. Il progetto fornisce ai capi del villaggio un cellulare con il quale telefonare all’ospedale quando c’è un’emergenza. Abbiamo fornito alle quattro strutture ospedaliere coinvolte nel progetto un’ambulanza, in modo da garantire un trasferimento gratuito in ospedale”.
Quali sono gli obiettivi che volete raggiungere nei prossimi quattro anni?
“Innanzitutto, vogliamo continuare quest’operazione e passare dai 16mila parti all’anno, che ci eravamo dati come obiettivo del primo anno, al doppio. Se le cose continueranno bene come in questo primo anno, contiamo di arrivare ai 40mila parti assistiti all’anno. Quindi, speriamo di superare l’obiettivo che ci eravamo prefissati di 125mila parti sicuri alla fine del progetto. Nel quarto-quinto anno dell’iniziativa, poi, vorremmo ridurre il nostro intervento affinché il personale locale impari a camminare sulle proprie gambe. Un altro aspetto importante è il coinvolgimento di tutti. Per questo sabato 15 dicembre abbiamo organizzato l’incontro di Roma; l’anno prossimo pensiamo di farlo a Milano. Parliamo del diritto fondamentale di una famiglia a far nascere una creatura in maniera dignitosa. Su questo vogliamo coinvolgere tutti: le istituzioni, la società civile, le associazioni, mostrando che è possibile un aiuto concreto. In tutto questo hanno un ruolo indispensabile anche i media per far conoscere il progetto e sensibilizzare sull’argomento”.