Padre Pizzaballa, alla luce di così tante crisi e violenze, che Natale sarà per i cristiani mediorientali? Con quale spirito sarà vissuto?
“Natale è una nascita ma come viverla, come lasciarsi scuotere da essa? Io credo che la risposta sta nell’essere capaci e disposti a ricominciare da capo, a rinascere. Per vedere qualcosa di nuovo dobbiamo essere nuovi anche noi. Non dobbiamo lasciarsi prendere dallo sconforto, dall’idea che tutto sia finito, che nulla cambierà. Si tratta di un atteggiamento che ha molte ragioni d’essere visto ciò che circonda ma non bisogna fermarsi. Riprendiamo la strada della speranza per essere pietre vive in questa terra in cui siamo stati chiamati a vivere”.
Pietre vive che stanno lasciando i loro Paesi, per cercare un futuro altrove. Forse che la speranza per i cristiani non abita più in Medio Oriente?
“Di fronte a queste situazioni difficili che i cristiani del Medio Oriente si trovano ad affrontare ci sono due strade: o andarsene o restare. Andarsene non è una soluzione, il restare non è solo inteso fisicamente perché non c’è alternativa ma perché vogliamo restare. Rimanere in questa Terra passa attraverso una presa di coscienza ed una nuova consapevolezza, è una missione che ci invita ad inserirci maggiormente nella realtà. Natale vuol dire appunto rinascere e continuare il cammino con speranza”.
Ma come è possibile inserirsi in una realtà sociale in cui si è una minoranza sempre meno ascoltata ed esigua?
“Da soli è molto difficile ma lo sforzo da fare è quello di mettersi in dialogo con tutte le realtà sociali che pure esistono, moderate, non sono tutti fanatici, e con esse fare fronte comune sui temi della cittadinanza, dei diritti umani, della vita, della tolleranza, della libertà. Unire la nostra voce alla loro e a quella della comunità internazionale, senza esagerare in quanto un intervento eccessivo di quest’ultima potrebbe essere controproducente. Allearsi con tutte quelle frange serene, positive, libere e moderate delle nostre società è indispensabile. Non abbiamo alternativa”.
Di tutta la regione mediorientale la crisi siriana è quella che spaventa di più, anche i cristiani. Ha senso parlare di Natale per la Siria?
“Parlare di Natale in Siria, sotto le bombe, è davvero difficile. Ma farlo è un seme di speranza nel futuro. Sotto ogni rovina c’è sempre una rinascita. Allora occorre guardare al futuro almeno come un desiderio da coltivare, come voglia di rinascita. La situazione è complicata: gran parte del Paese, da quello che trapela, sarebbe sotto il controllo dell’opposizione nella quale militano frange dalle più moderate alle più integraliste ed anticristiane. Tutto ciò provoca paura nei nostri fedeli. Si stima che la metà abbondante della comunità cristiana si sia spostata sia all’interno che all’esterno del Paese. Le prossime festività natalizie saranno vissute all’interno di case, di chiese, in qualche villaggio, non essendoci le giuste condizioni di sicurezza. Ma è importante celebrare il Natale perché significa dire a tutti ‘ecco noi ci siamo, siamo qui’”.
C’è un messaggio particolare che dal Medio Oriente giunge al mondo intero per questo Natale?
“In questo periodo leggiamo il Libro delle Consolazioni di Isaia dove ci sono brani molto belli tra i quali i canti del servo sofferente. Consolazione e speranza non cancellano la sofferenza ed il dolore ma li rendono innocui, tolgono loro l’ultima parola. Il messaggio per tutti è: la sofferenza ed il dolore esistono ma dobbiamo starvi dentro sapendo che siamo figli di Dio che si è incarnato e che ci dona la forza di vivere questa situazione. Egli ci dona anche la serenità necessaria soprattutto per i giovani ed i bambini perché possano pensare ad un futuro diverso. La morte peggiore sarebbe vivere senza speranza credendo che un futuro migliore non è possibile”.