ITALIA – E allora quiz sono stati. La prova pre-selettiva del cosiddetto concorsone per la scuola si è aperta con 50 quiz, altrettanti minuti di tempo a disposizione e 35 risposte esatte per superare questa prima prova. Risultato: uno su tre ce l’ha fatta, vale a dire il 33,6% a livello nazionale, con picchi di eccellenza in Toscana, Piemonte, Lombardia, Liguria. Uno su tre continuerà la corsa ad ostacoli verso la docenza: dovrà tra l’altro simulare una lezione, come si fa per i concorsi a professore universitario.
Erano 13 anni che non veniva bandito un concorso per la scuola, e in così tanti anni si è formato un numero rilevante di docenti precari non più giovanissimi (l’età media dei concorrenti di questi giorni è di 38 anni) che ogni inizio anno scolastico attendono con comprensibile ansia di sapere se avranno e dove avranno una cattedra. Si è così formata una prima sacca di resistenza al concorsone: perché, dicono in molti, non si è pensato a sistemare quei supplenti storici che da decenni se ne vanno a spasso e non per farsi una gita fuori porta? Meritocrazia, risponde il ministero. Senza riguardo per l’età. Bene, anzi male, replicano alcuni, perché si pongono due problemi: il primo è che molti di quei docenti hanno maturato una preziosa esperienza e nel contempo avranno, tra lauree, specializzazioni e altro, conseguito una certa conoscenza, che secondo molti è vanificata da quiz non specialistici. Che se ne fa della matematica –si chiedono- uno che deve insegnare latino?
Il secondo problema è che questi precari si giocano tutto con un colpo di dadi. E sì, hanno dichiarato alcuni dei docenti che hanno partecipato al concorso (altri si sono polemicamente rifiutati di farlo), perché dopo laurea, specializzazione, dottorato, master talvolta all’estero e abilitazioni, si tratta proprio di una mano a dadi: tutta una vita sui libri e su cattedre precarie e poi eccoti una manciata di quiz che non hanno carattere disciplinare, ma sono stati strutturati per rilevare solo le capacità logico-sintetiche.
Il fatto è che si sta affermando un metodo che all’inizio era stato approntato per valutare la situazione iniziale degli studenti nelle prove d’ingresso (nelle singole materie, a differenza del concorsone) e che poi si sta lentamente estendendo nelle valutazioni e nelle prove della maturità: domande a risposte aperte (con un minimo di possibilità di approfondimento) e vere e proprie domande secche, con una risposta sola da scegliere tra un certo numero di proposte. Le obiezioni non nascono con questo concorso, quindi: esse si erano già fatte strada durante il lento affermarsi di un metodo non dialettico e secondo alcuni non scientifico.
Molti insegnanti di provata esperienza denunciano che questi metodi, invece che contrastare l’impoverimento espressivo e linguistico dei giovani, lo favoriscono. È il paradosso di una semplificazione indotta, che da effetto delle povertà linguistiche familiari, culturali ed ambientali, diviene causa di impoverimento in chi lo dovrebbe combattere. Invece di contrapporsi alla difficoltà espressiva, che come vedremo diviene anche umana, la si mette in circolo.
Molti docenti da anni si scagliano contro quiz, rebus e crocette e propongono invece il ritorno al discorso compiuto e articolato, che provi conoscenze e capacità espressive e che contemporaneamente (è la tesi di alcune scuole psicologiche, quella lacaniana in primis) addirittura arricchisce le capacità mentali. Ebbene, la componente precaria di questi docenti sottoposta a concorso si trova nella paradossale situazione di passare proprio attraverso quei metodi cui essa imputa l’odierno impoverimento culturale.
Oltre tutto gli studiosi hanno conoscenze per la maggior parte settoriali e approfondite in un novero limitato di campi, e ci mancherebbe: il latinista conosce soprattutto la lingua e la civiltà latine, anche se, ovviamente, essendo laureato in Lettere classiche, ha studiato il greco e l’italiano. Per anni si è raccomandata la specializzazione e ora si cambia registro: meglio la sintesi. Chi insegna all’università nota tra l’altro un fenomeno preoccupante: un numero sempre maggiore di matricole mostra non solo maggior povertà espressiva e linguistica ma una evidente assenza di cultura e di metodo di studio. Senza contare, aggiungono altri, che di per sé la simulazione di una lezione non tiene conto della complessità del mestiere: tra le altre cose, la presenza di 30, più o meno, ragazzi (tra cui spesso alunni diversamente abili), un pubblico non precisamente silenzioso e attento come la commissione di concorso, che pone altri problemi risolvibili, appunto, con l’esperienza e il “mestiere”.