ITALIA – È sorpreso mons. Alberto D’Urso, vicepresidente della Consulta nazionale antiusura Giovanni Paolo II, dei dati diffusi oggi da un quotidiano nazionale, secondi i quali frenano le entrate per i vari giochi pubblici dopo anni di crescita e resistono solo le puntate su internet. Sempre secondo il quotidiano, lo Stato non incasserebbe più dai giochi: a gennaio 2012 ci sarebbe stato un picco della raccolta (più 42% di calo rispetto allo stesso mese dell’anno precedente), poi il dato avrebbe cominciato a declinare; a luglio la crescita sarebbe diventata irrisoria (2%), ad agosto perfino negativa e tale si sarebbe mantenuta anche nei mesi successivi. Ad avviso di mons. D’Urso, intervistato da Gigliola Alfaro per il Sir, questi dati sono poco rispondenti alla realtà.
Mons. D’Urso non ritiene verosimili i dati sul calo del fenomeno del gioco?
“C’è un calo di spese generale e questo tocca anche un po’ i giocatori, ma per me i casi sono in aumento. Ci sono oggi un milione di giocatori patologici e sei milioni di familiari coinvolti in questo dramma, che vivono in condizioni di grosse difficoltà economiche. Aumentano le situazioni preoccupanti. Solo adesso lo Stato ha riconosciuto l’azzardo come patologico e ha disposto che i dipendenti dal gioco possano curarsi presso le strutture pubbliche. Al tempo stesso, sono state autorizzate 1.000 nuove sale in Italia: non è una cifra piccola. Se la crisi del gioco fosse reale, non si autorizzerebbero nuove sale, né si adotterebbe provvedimenti per la dipendenza dal gioco. Mi sembra che con il gioco illegale ci sia un comportamento simile a quello adottato con l’aborto, mentre una cosa è buona o cattiva: non è che legalizzando prima l’aborto e ora il gioco, si cambia la loro natura, restano cose sbagliate. E poi il gioco illegale non è diminuito, benché uno dei motivi per cui si è voluto legalizzare il gioco è stato proprio combattere il fenomeno dell’illegalità”.
Non crede quindi che si sia fermata la crescita delle entrate per i giochi?
“A me risulta che nel 2011 si sono spesi circa 80 milioni di euro e pare che l’anno scorso la cifra sia stata maggiore. Si può dire che c’è una crescita reale, anche se non omogenea. Il giocatore patologico, infatti, si lascia tentare da nuove proposte per vivere nuove esperienze. Per questo si vendono meno i biglietti della Lotteria Italia: ogni giorno è Natale e c’è una lotteria. Anche per il Superenalotto è la stessa storia. O anche sono diminuiti i giocatori ai casinò o il successo delle sale bingo perché la gente gioca in maniera diversa”.
Le risulta effettivamente in aumento il gioco on line?
“Il gioco on line mette più in crisi lo Stato, perché diminuiscono le entrate. Si tratta di un gioco senza controllo. Anche noi abbiamo difficoltà a quantizzare il volume delle giocate on line. Ed è così in tutto il mondo. D’altra parte, la crisi può toccare le macchinette e, perciò, il mondo industriale è un po’ in subbuglio, essendo diminuita la richiesta di produzione di slot. Parecchie persone, infatti, si sono spostate sul gioco on line”.
È vero, secondo lei, che la gente rigioca i soldi vinti?
“Da sempre quando una persona vince al Gratta e vinci rigioca, ma non sono vere e proprie vincite: ritenta e alla fine spende più di quello che ha guadagnato. Essendo tanti i giochi, anche i soldi si disperdono, ma non sono diminuiti i giocatori d’azzardo”.
L’allarme, allora, resta alto?
“L’allarme resta altissimo. Purtroppo, a giocare sono non solo i viziosi, ma anche tanti disperati. C’è poi sempre il problema della pubblicità ingannevole. Purtroppo, l’Italia non si è stancata di giocare, anzi viene sempre più spinta a farlo. Anche il numero delle vittime dell’azzardo sembra che sia in aumento e si è abbassata l’età dei giocatori”.
C’è chi dice che sono a rischio i lavoratori impegnati a vario titolo nell’universo del gioco. Cosa ne pensa?
“È un atteggiamento veramente farisaico, perché è proprio la mancanza di occupazione che spinge le persone a lavorare in questo settore. Ho conosciuto tanti che di fronte alle tragedie causate dal gioco hanno rinunciato a questo tipo di impiego come fatto di coscienza perché è un lavoro a far male”.
Tutto l’impegno della società civile contro “azzardopoli” sta dando qualche frutto?
“Bisogna fare ancora molto. Occorre coinvolgere i bambini perché siano loro a portare un messaggio positivo e di allarme verso le famiglie. Chi avrebbe dovuto dare una mano rispetto a questo fenomeno? Le agenzie educative, ma non viene molto dalla famiglia e dalla scuola. Anche la proposta del ministro Balduzzi di allontanare dai centri le sale da gioco è caduta nel nulla. D’altra parte, nel mondo politico non c’è un atteggiamento univoco contro il fenomeno: anzi, il gioco gode di appoggi trasversali; così, accanto ad affermazioni di preoccupazione, ce ne sono altre che ipotizzano l’abolizione dell’Imu attraverso il gettito fiscale dei giochi. Ci sono delle contraddizioni che non aiutano e ancora ci fanno pensare che tutto sommato il nostro sia uno Stato biscazziere. Per la Consulta nazionale antiusura la situazione è preoccupante e il gioco resta tra le cause principali del ricorso al debito e all’usura, con tante famiglie che si sfasciano”.