SIRIA – “Il vento della primavera araba ora comincia a farsi sentire anche in Giordania che rischia di cadere, dopo la Siria. E le conseguenze sarebbero devastanti per la già precaria stabilità di questa regione”. È preoccupato padre Butros Nimeh, parroco della chiesa siro-ortodossa di Betlemme. Le elezioni per il nuovo Parlamento nel regno hashemita sono fissate per il 23 gennaio. L’auspicio del religioso è che a prevalere siano candidati moderati e dalla coscienza retta. Ma la mente di padre Nimeh non si ferma solo alla Giordania: va diretta alla “cara” Siria dove vivono molti suoi amici e confratelli. “Le notizie – dice a Daniele Rocchi del Sir che lo ha incontrato nella sua piccola chiesa, nella parte antica della città – che arrivano dalla Siria sono brutte. Il popolo soffre, i cristiani locali soffrono non solo per la guerra ma anche per la loro fede”.
Padre Nimeh, i cristiani soffrono due volte?
“In Siria sta accadendo la stessa cosa di altri Paesi arabi dove vediamo i fondamentalisti islamici fronteggiare e sconfiggere con la forza i governi locali. Dicono che vogliono cambiare la situazione del popolo che non è buona. Si tratta di un conflitto economico e politico dai connotati religiosi. La religione viene usata come detonatore di tensioni e di violenza. Guardiamo cosa è accaduto in Iraq negli ultimi venti anni. In queste due decadi oltre un milione di cristiani hanno lasciato quel Paese. La stessa cosa, adesso, si sta verificando in Siria. Siamo tra due fuochi”.
Intende dire che i cristiani stanno pagando il prezzo dello scontro tra sciiti e sunniti?
“Sciiti e sunniti fanno capo a potenze regionali quali Iran e Arabia saudita che li controllano come avessero un telecomando tra le mani. E a tremare sono le sorti di questa area strategica del mondo ricca di materie come il petrolio”.
Che notizie le giungono dai suoi fedeli e confratelli rimasti in Siria?
“Le informazioni fornite dai nostri confratelli e dal patriarcato siro-ortodosso che ha sede in Siria ci parlano di grandi sofferenze del popolo. I cristiani stanno pagando il prezzo di questa guerra, che è il sangue della nostra gente, i suoi luoghi, le sue chiese, le sue case. Ci sono zone della Siria come Homs e Aleppo che soffrono maggiormente la guerra, mentre altre registrano una calma relativa. Tra i combattenti anti-Assad moltissimi provengono dall’estero, sono mercenari pagati da altri Paesi. I cristiani non vogliono questa guerra. Siamo contrari, ma ne soffriamo le conseguenze. Vogliamo che si depongano le armi e si dialoghi per il bene del Paese”.
Teme per il futuro dei cristiani in Siria?
“Sotto il regime di Assad i cristiani erano benvoluti, ma adesso non sappiamo cosa accadrà dopo di lui. Cosa sarà dei cristiani se i partiti fondamentalisti islamici dovessero, in futuro, salire al governo? I fondamentalisti – lo stiamo vedendo in Egitto con i Fratelli musulmani – non separano religione e politica. Questi due aspetti non possono camminare insieme in un Paese democratico. Non si può governare con il Corano. Cosa hanno a che vedere i cristiani con la Sharia? Il futuro è oscuro per i cristiani in Siria. Con un governo saldamente in mano ai fondamentalisti islamici non ci sarà libertà e libertà religiosa in particolare. E a preoccuparsi non sono solo i cristiani ma anche tutti quei fedeli musulmani moderati e aperti al dialogo e alla tolleranza”.
Cosa perderebbe la Siria, e con essa il Medio Oriente, se la minoranza cristiana dovesse ulteriormente indebolirsi?
“I cristiani sono una parte importante della popolazione mediorientale ed è importante che vi restino. Sfortunatamente né gli Usa né l’Unione europea comprendono questa cosa. I cristiani hanno la vocazione a intessere dialogo, costruire ponti di comprensione, stimolare il rispetto dei diritti e la tolleranza. È la nostra storia qui in questa terra. I partiti fondamentalisti islamici governeranno il Medio Oriente con il sostegno di Usa e Ue. I popoli lo sanno ma i loro governi no. E questo è grave”.