La lettura della Bibbia è “fondamentale” non solo per il dialogo tra ebrei e cristiani ma per dare all’Italia di oggi “un faro di riferimento”. Lo afferma il Rav.Giuseppe Laras, presidente del Tribunale rabbinico del Centro-Nord Italia, a poche ore dalla “lectio magistralis” che terrà oggi a Milano insieme con l’arcivescovo Angelo Scola su “Il ruolo della Scrittura nel dialogo tra ebrei e cristiani”. L’incontro che si terrà nel pomeriggio nell’aula magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, si svolge nell’ambito dei “Dialoghi a due voci” tra ebrei e cristiani e sarà moderato dal pastore della Chiesa valdese Gioachino Pistone. Maria Chiara Biagioni, per il Sir, ha rivolto alcune domande al rabbino Laras.
Quanto è importante che ebrei e cristiani tornino oggi insieme alla radice della Bibbia?
“È fondamentale, è vitale. Bisogna riprendere le fila di un dialogo che si è interrotto molto molto tempo fa e ritendere quindi alla ricomposizione fra ebraismo e cristianesimo sulla lettura della Bibbia. È una lettura di contenuti eterni che hanno molta importanza non solo sul piano spirituale, ma sul piano etico, perché condividere il racconto della Bibbia, ci aiuta a impostare meglio la nostra vita quotidiana su basi etiche”.
Quali sono i contenuti eterni a cui fa riferimento e di cui c’è particolarmente bisogno oggi in Italia?
“La Bibbia è abbastanza assente dal pensiero contemporaneo. Purtroppo ci si serve della Bibbia e la si rispetta solo come una fonte dottrinale, ma non come una storia vivente. Occorre quindi ritrovare e recuperare questo significato originario e vitale della Bibbia. Con il cardinale Scola stiamo cercando di riflettere sull’importanza della lettura della Bibbia e dell’ispirazione che se ne può derivare ai fini di migliorare, nel limite del possibile, la nostra condizione di persone”.
Il fatto che la Bibbia sia assente dal pensiero contemporaneo cosa determina?
“Determina la caduta che è molto frequente, del livello morale, perché spesso e senza cadere nelle generalizzazioni, manca quell’afflato spirituale, quell’orizzonte della trascendenza che ci supera e che deve essere invece faro di riferimento”.
In Italia, proprio questa settimana si celebra la Giornata della memoria. Quanto è importante per questa memoria il dialogo tra cattolici ed ebrei?
“Mi sembra fondamentale e scontato. Perché non dobbiamo dimenticare che alla base della devastante politica del nazi-fascismo c’era un’antica predicazione anti-giudaica da parte cristiana. Ma questo è ormai risaputo e, infatti, il dialogo è nato anche per cercare di superare quella brutta pagina millenaria che ha caratterizzato i nostri rapporti. Non è un caso che la Giornata della memoria e la Giornata dell’ebraismo che abbiamo celebrato la scorsa settimana, il 17 gennaio, siano strettamente collegate. Questo collegamento è un’intuizione salutare”.
Quanto ha inciso la pubblicazione della dichiarazione conciliare “Nostra Aetate” per superare questa dolorosa storia?
“La dichiarazione conciliare rappresenta sicuramente una pietra miliare, ma vorrei anche ricordare a questo proposito l’incontro forse poco risaputo tra Jules Isaac e papa Giovanni XXIII che stimolò l’attenzione della cristianità nei confronti della Shoah fino a concludere con un decisivo, ‘mai più’. Dopo l’aprile del 1945, ci sono state prese di posizioni e riflessioni molto coraggiose e importanti non solo da parte ebraica ma anche da parte cristiana, di molti cardinali, con in prima linea il cardinal Martini”.
Si può affermare oggi, dopo tutti questi anni di promozione e riflessione, che la cultura della Shoah sia entrata nella memoria degli italiani?
“Io, purtroppo, vedo – ma me l’aspettavo – dei segni di stanchezza, perché la ripetitività, il fatto che si continui a ricordare dei fatti spiacevoli… possono avere nel tempo come conseguenza questa sensazione di stanchezza. Dobbiamo tenere anche presente che il periodo dei protagonismi è finito, perché i sopravvissuti sono morti e con loro stanno morendo anche i figli e sarà così tra qualche anno per i nipoti. Per questo dico che dobbiamo tenere duro e continuare. Ricordare è un dovere non solo nei confronti delle vite stroncate durante la Shoah ma per il nostro futuro perché se non facciamo sapere quanto è accaduto non forniamo alle generazioni che stanno affacciandosi, gli anticorpi necessari per rendere impossibile la ripresentazione di quell’orrore”.
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