EUROPA – La memoria della Shoah resta un monito per tutti rispetto ai razzismi e alle discriminazioni che, purtroppo, ancora oggi vivono nella nostra società: dalla predicazione del disprezzo, dall’ostilità verso gli ‘altri’, dalla conflittualità sociale possono nascere i campi di concentramento e perfino lo sterminio. Non è allarmismo dirlo. È già accaduto”.
È la riflessione che al Sir mons.Gino Battaglia, direttore dell’Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo, fa a proposito della Settimana delle Memoria che si sta celebrando anche in Italia con incontri e iniziative. La scelta della data ricorda il 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche dell’Armata Rossa, nel corso dell’offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Oświęcim (nota con il suo nome tedesco di Auschwitz), scoprendo il suo tristemente famoso campo di concentramento e liberandone i pochi superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazista.
L’impegno comune dei cristiani. La Settimana della Memoria coincide con la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che le Chiese cristiane celebrano ogni anno dal 18 al 25 gennaio. “Il rapporto particolare con gli ebrei e con l’ebraismo – dice mons. Gino Battaglia a questo proposito – è una delle tante cose che abbiamo in comune. Accanto all’esigenza di purificare la memoria, anche attraverso il riconoscimento delle responsabilità e il perdono, i cristiani sono chiamati a vegliare contro l’insidia del male che si annida nella storia”. Ed aggiunge: “Una delle dimensioni dell’ecumenismo è l’impegno comune dei cristiani delle diverse confessioni nei confronti dei grandi problemi del mondo e delle domande di fondo della vita e della storia. I due aspetti (quello civile-culturale e quello religioso) convergono nel momento in cui ci poniamo davanti all’orrore della Shoah. La Chiesa deve quindi custodire con particolare cura questa memoria e le memorie di chi ha vissuto tutto questo, deve in qualche modo raccogliere un’eredità, lasciata al popolo ebraico come a noi cristiani. È compito anche dei cristiani preservare questa memoria”.
L’origine di un dialogo. Il direttore dell’ufficio Cei ricorda come la Shoah sia “avvenuta in terre cristiane e, se il principale agente è stata l’ideologia e il regime nazista, tra coloro che l’hanno resa possibile ci sono stati dei cristiani. Da questo dramma, nel cuore del dramma della guerra mondiale, è nato il dialogo tra cristiani ed ebrei e il loro rapporto si è profondamente rinnovato. Non si deve dimenticare l’origine storica del dialogo ebraico-cristiano per non perdere la tensione ideale, che lo ha animato e deve continuare ad animarlo. Esso non ha solo una valenza culturale o accademica (dimensioni pure importanti), ma ha un profondo significato morale e spirituale, che si radica nella storia del secolo scorso. Pertanto l’antisemitismo è per la Chiesa anche un problema pastorale”.
Il mistero del male che si perpetua. Purtroppo le stragi compiute a causa dell’appartenenza alle etnie non sono finite. “Il mondo contemporaneo – ricorda mons. Battaglia – è travagliato da conflitti che hanno radici diverse, ma che spesso contrappongono comunità definite da fattori politici, sociali, etnici e perfino religiosi. All’interno di questi conflitti, anche in anni più recenti abbiamo assistito a genocidi o pulizie etniche”. “C’è anche – aggiunge – un mistero nel male che si perpetua nella storia. Ed essa appare talvolta come un caos, in cui non è possibile riscontrare un indirizzo. Per limitarsi allo scenario italiano o al nostro mondo europeo, direi che la smemoratezza è uno dei fattori che facilmente inducono a giocare, per interessi diversi, con le pulsioni più basse della società, alimentando diffidenze, allarmi, sospetti. È – solo per fare un esempio – l’allarmismo verso l’immigrazione (e quindi verso gli immigrati), presentata come minaccia o emergenza. Questo certo non ha aiutato l’integrazione di persone che rappresentano anche una risorsa per il nostro Paese”.