Pressanti sfide. Sul piano teologico, “la relazione tra fede e matrimonio assume un significato ancora più profondo” in quanto il vincolo sponsale, benché realtà naturale, “tra i battezzati è stato elevato da Cristo alla dignità di sacramento”. Il patto indissolubile tra uomo e donna, ha ricordato il Papa, “non richiede, ai fini della sacramentalità, la fede personale dei nubendi; ciò che si richiede, come condizione minima necessaria, è l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa”. Ma se è importante “non confondere il problema dell’intenzione con quello della fede personale dei contraenti”, “non è tuttavia possibile separarli totalmente”. Il Pontefice ha, perciò, offerto un’analisi della cultura contemporanea, “contrassegnata da un accentuato soggettivismo e relativismo etico e religioso”, che “pone la persona e la famiglia di fronte a pressanti sfide”. Fa parte di una “mentalità diffusa”, ha notato il Santo Padre, “pensare che la persona diventi se stessa rimanendo ‘autonoma’ ed entrando in contatto con l’altro solo mediante relazioni che si possono interrompere in ogni momento”. Di conseguenza “a nessuno sfugge come sulla scelta dell’essere umano di legarsi con un vincolo che duri tutta la vita influisca la prospettiva di base di ciascuno, a seconda cioè che sia ancorata a un piano meramente umano, oppure si schiuda alla luce della fede nel Signore. Solo aprendosi alla verità di Dio, infatti, è possibile comprendere, e realizzare nella concretezza della vita anche coniugale e familiare, la verità dell’uomo quale suo figlio, rigenerato dal Battesimo”. Il rifiuto della proposta divina, in effetti, “conduce ad uno squilibrio profondo in tutte le relazioni umane, inclusa quella matrimoniale, e facilita un’errata comprensione della libertà e dell’auto realizzazione, che, unita alla fuga davanti alla paziente sopportazione della sofferenza, condanna l’uomo a chiudersi nel suo egoismo ed egocentrismo”.
Il ruolo della fede. La fede in Dio è dunque “un elemento molto importante per vivere la mutua dedizione e la fedeltà coniugale”. Con ciò Benedetto XVI non ha inteso affermare che “la fedeltà, come le altre proprietà, non siano possibili nel matrimonio naturale, contratto tra non battezzati”. Certamente, però, “la chiusura a Dio o il rifiuto della dimensione sacra dell’unione coniugale e del suo valore nell’ordine della grazia rende ardua l’incarnazione concreta del modello altissimo di matrimonio concepito dalla Chiesa secondo il disegno di Dio, potendo giungere a minare la validità stessa del patto” qualora “si traduca in un rifiuto di principio dello stesso obbligo coniugale di fedeltà ovvero degli altri elementi o proprietà essenziali del matrimonio”. Il Papa ha anche sottolineato che proprio le esperienze, “contrassegnate dalla fede”, fanno comprendere come, ancor oggi, “sia prezioso il sacrificio offerto dal coniuge abbandonato o che abbia subito il divorzio, se – riconoscendo l’indissolubilità del vincolo matrimoniale valido – riesce a non lasciarsi coinvolgere in una nuova unione… In tal caso il suo esempio di fedeltà e di coerenza cristiana assume un particolare valore di testimonianza di fronte al mondo e alla Chiesa’”.
Il “bonum coniugum”. Il Pontefice si è, quindi, soffermato sul “bonum coniugum”. “La fede – ha sostenuto – è importante nella realizzazione dell’autentico bene coniugale, che consiste semplicemente nel volere sempre e comunque il bene dell’altro, in funzione di un vero e indissolubile consortium vitae”. È nell’unione matrimoniale che “la fede fa crescere e fruttificare l’amore degli sposi, dando spazio alla presenza di Dio Trinità e rendendo la stessa vita coniugale, così vissuta, ‘lieta novella’ davanti al mondo”. Il Santo Padre riconosce “le difficoltà, da un punto di vista giuridico e pratico, di enucleare l’elemento essenziale del bonum coniugum, inteso finora prevalentemente in relazione alle ipotesi di incapacità. Il bonum coniugum assume rilevanza anche nell’ambito della simulazione del consenso”. Certamente, “sarà l’indagine in facto ad accertare l’eventuale fondatezza di questo capo di nullità”. Non si deve prescindere “dalla considerazione che possano darsi dei casi nei quali, proprio per l’assenza di fede, il bene dei coniugi risulti compromesso e cioè escluso dal consenso stesso”. “Con le presenti considerazioni – ha concluso il Santo Padre -, non intendo certamente suggerire alcun facile automatismo tra carenza di fede e invalidità dell’unione matrimoniale, ma piuttosto evidenziare come tale carenza possa, benché non necessariamente, ferire anche i beni del matrimonio, dal momento che il riferimento all’ordine naturale voluto da Dio è inerente al patto coniugale”.