Di Elio Bromuri
CHIESA – La celebrazione della liturgia a conclusione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani nella Basilica di San Paolo fuori le mura, il 25 gennaio, giorno in cui i cattolici fanno memoria della conversione dell’ Apostolo delle genti, evoca ogni anno e soprattutto in questo dedicato a celebrare il 50° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, quel 25 gennaio 1959 quando Giovanni XXIII, con sorpresa generale annunziò che avrebbe convocato un concilio ecumenico. Questo non è stato solo un evento della Chiesa cattolica, ma più in generale, un limpido segno dei tempi per tutti i cristiani sparsi nel mondo ridestati al richiamo della loro comune fede. L’ecumenismo, nato fuori della cattolicità confessionale, diviene una via aperta per un cammino comune di fede e di speranza in un mondo lacerato da discordie, dal quale nessuno rimane escluso.
Benedetto XVI nel salutare i partecipanti alla celebrazione di ieri ha elencato alcune persone e gruppi che stanno lì a segnare la continuità di questo cammino, anche se percorso, per così dire, in punta di piedi, come gli studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey, i membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali, insieme ai rappresentanti del patriarcato di Costantinopoli, Gennadios e a quello dell’arcivescovo di Canterbury. Piccole finestre, significative, di una realtà che sussiste e prospera nel silenzio della riflessione e della preghiera della moltitudine di fedeli di ogni confessione cristiana dei cinque continenti. Non è segno di poco conto riflettere e segnalare, come ha fatto il Papa nel suo discorso, il fatto che il tema di quest’anno è stato formulato e impostato da un gruppo di studenti indiani che hanno richiamato l’attenzione su una piaga sociale costituita dai cosiddetti dalit, le persone più povere del Paese.
L’ecumenismo, da questo punto di vista, non si allontana dalla realtà culturale e sociale in cui si sviluppa. Come è nato da una analisi delle condizioni delle missioni estere dei protestanti che scoprono la contraddizione della diffusione di un cristianesimo diviso, così scopre oggi che tale annuncio, come ha affermato Gesù a Nazaret, è rivolto ai poveri (Lc 4, 10 s).
Nell’Anno della fede, Benedetto XVI, semmai ci fosse bisogno, ricorda che non c’è ecumenismo senza fede e che la fede è il centro dell’unità cristiana. Pone così la questione al centro. “La comunione nella stessa fede è la base per l’ecumenismo. L’unità, infatti, è donata da Dio come inseparabile dalla fede… Senza la fede – che è primariamente dono di Dio, ma anche risposta dell’uomo – tutto il movimento ecumenico si ridurrebbe ad una forma di ‘contratto’ cui aderire per un interesse comune”. Così ha affermato Benedetto XVI nel cuore del suo discorso. Un ammonimento atto ad evitare l’attuale deriva secolaristica che può essere contagiosa verso i cristiani interpellati dalle urgenze del tempo presente e dalle esigenze di andare incontro a una società che si allontana progressivamente dalle sue radici cristiane.
Oggi è evidente la necessità di ridire la fede al mondo, perché creda, ma si deve fare in modo credibile, con linguaggio nuovo da cercare insieme attraverso un dialogo fecondo tra cristiani battezzati con l’unico battesimo e traendo ricchezza dalle loro diversità, componibili nell’unica fede. Per essere in grado di rispondere a questa vocazione, comune a tutti i battezzati, è necessaria una conversione. “La ricerca dell’unità nella verità e nell’amore è opera dello spirito Santo e va ben oltre i nostri sforzi”, ricorda Benedetto XVI, con un’insistenza che ritroviamo nella continuità dell’insegnamento della Chiesa, le cui pagine sono piene di riferimenti all’ecumenismo spirituale. Questo, lo ripete il Papa anche in questa omelia è soprattutto preghiera, “insieme a gesti concreti di conversione che muovano le coscienze e favoriscano la guarigione dei ricordi e dei rapporti”. Parole chiare che evocano la necessità di superare le dispute tra cristiani sulle attuali nuove questioni etiche e sulla valutazione di alcuni periodi storici della vita della Chiesa.
La santità personale, il coraggio nell’affrontare un dialogo chiarificatore delle attuali controversie teologiche, umiltà e rispetto gli uni degli altri e la coscienza acuta di essere chiamati ad annunciare la fede cristiana in modo credibile, non solo ad un mondo difficile e lontano, ma anche a coloro che sembrano aver dimenticato il Vangelo a suo tempo a loro annunciato dai padri. Una sfida e una speranza affidate allo Spirito Santo e allo spirito di ogni battezzato desideroso di verità e di pace, secondo la sua vocazione.