Oltre cinque milioni di italiani vivono in zone pericolose, esposte a frane e alluvioni. Sono 6.633 i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, l’82% del totale. Le regioni più “fragili” sono Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d’Aosta e Provincia di Trento, seguite da Marche, Liguria, Lazio e Toscana. La situazione è preoccupante, se si considera che la superficie delle aree ad alta criticità geologica si estende per 29.517 chilometri quadrati, il 9,8% del territorio nazionale. Sono dati emersi, mercoledì 6 febbraio, nella conferenza nazionale sul rischio idrogeologico, che si è tenuta a Roma e ha visto confrontarsi associazioni, sindaci, ordini professionali, tecnici ed esperti con l’obiettivo di trovare soluzioni alle emergenze del Paese. A Matteo Mascia, coordinatore del Progetto etica e politiche ambientali della Fondazione Lanza, abbiamo posto alcune domande.
I dati emersi dalla conferenza nazionale sono molto allarmanti…
“Questi dati sono figli di una scelta di sviluppo che ha pesantemente intaccato il sistema naturale, con una fortissima cementificazione che ha reso più fragile e più vulnerabile il nostro territorio. I dati mostrano anche che negli anni passati c’era una scarsa conoscenza e una sottovalutazione dei rischi del territorio. Ciò si può collegare a una concezione del rapporto con la natura molto strumentale, secondo la quale la natura ha un valore in quanto serve a migliorare la qualità della vita e a portare sviluppo e crescita. Così, però, non si tiene in conto che la natura ha un valore in sé e vi è una stretta relazione tra uomo e natura, o, richiamando i termini usati da Benedetto XVI, tra ecologia umana ed ecologia naturale. Non si comprende che nel momento in cui si vìola la natura si vìolano anche le persone e le comunità. È, quindi, un problema di una cultura che ha fatto della crescita economica e materiale il valore fondamentale e ha dimenticato non solo la solidarietà, ma anche la dimensione valoriale dell’ambiente in cui viviamo, la ‘casa comune’ della famiglia umana”.
Quanto pesano sulla vulnerabilità del nostro territorio i cambiamenti climatici in atto?
“Certamente c’è una stretta relazione tra sviluppo, crescita, stato dell’ambiente e qualità della vita. Fenomeni come i cambiamenti climatici, perciò, non fanno altro che enfatizzare e aumentare gli elementi di rischio dell’ambiente naturale e di quello umano. Nel momento in cui abbiamo un aumento, in termini di numero e di intensità, degli eventi estremi, come precipitazioni improvvise e abbondantissime, scambi termici, ondate di caldo, aumenta la vulnerabilità dei nostri sistemi socio-economici e ambientali”.
Negli ultimi anni si è risposto in modo adeguato alle nuove sfide ambientali o, piuttosto, si è lavorato solo nella logica dell’emergenza?
“Nel nostro Paese la risposta è sempre stata all’emergenza e non c’è stata la capacità di programmare. Questo si collega a una mancanza di consapevolezza e di conoscenza di questi temi da parte del mondo politico che non ha offerto adeguata attenzione, approfondimento e risposta. Indubbiamente, la politica è figlia di un contesto sociale. È nella società che non c’è la consapevolezza dei rischi, come dimostra il fatto, ad esempio, che ci sono persone che costruiscono case disboscando terreni o comunque in zone a rischio”.
Tra breve avremo un nuovo Parlamento, cosa ci si può aspettare dalla prossima legislatura nella prospettiva della difesa del territorio?
“Di fronte alle grandi problematiche ambientali dobbiamo, innanzitutto, pensare delle politiche di adattamento. Questo significa mettere in campo risorse per ridurre i rischi legati al degrado ambientale. Rispetto al rischio idrogeologico vuol dire adottare politiche per il recupero, la risistemazione, la valorizzazione e la messa in sicurezza dell’ambiente naturale, in tutte le sue forme, dalle coste ai fiumi e alle montagne. Queste politiche, inoltre, possono generare lavoro e, quindi, valore economico e benessere per le comunità. Il tutto si traduce anche in una programmazione politica sulla gestione del territorio, che fermi ogni nuova costruzione per evitare ulteriori consumi di suolo e valorizzi, al tempo stesso, il costruito che c’è già. Un’altra sfida di fronte al cambiamento climatico è, infatti, la riduzione delle emissioni, che è possibile con la messa in efficienza energetica dei nostri edifici, costruiti in anni in cui non si badava a questi problemi”.
In occasione della conferenza nazionale, la Coldiretti ha denunciato che la terra frana anche perché negli ultimi trent’anni sono dimezzati gli agricoltori per difficoltà economiche.
“L’agricoltore, oltre a produrre cibo, ha anche la funzione di essere amministratore e custode della terra. La sostituzione di terreni coltivati con altre attività è uno dei grandi problemi dell’Italia. Per il nostro sviluppo di domani, dobbiamo mirare a coltivare prodotti di alta qualità, da smerciare non solo in Italia, ma anche all’estero. Puntare sulla qualità e valorizzare l’agricoltura italiana penso sia una risposta alla crisi economica e anche alla crisi ecologica che stiamo vivendo”.