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Tunisia, dal caos al voto?

TUNISIA – Nel giorno dei funerali di Chokri Belaid tutta la Tunisia è stata paralizzata dallo sciopero generale.
Scuole, uffici, negozi, università, sono chiusi, i voli aerei annullati. Avenue Bourghiba, luogo simbolo della capitale, è un deserto. A Djebel Jelloud (periferia sud di Tunisi), intanto, la salma di Belaid è stata portata fino al cimitero di Djellaz a bordo di un camion scoperto dell’esercito, a sancire il rango di martire del Paese, scortato da una macchina dove erano la moglie e i figli del leader dell’opposizione ucciso. Ad attendere la bara al cimitero vi erano migliaia di persone che scandivano slogan e battevano le mani. I funerali sembrano, almeno per il momento, aver portato la calma a Tunisi dopo due giorni di scontri e proteste, che hanno innescato una dura risposta della polizia. Al caos nelle strade corrisponde anche quello politico, con il partito di maggioranza Ennahda che ha sconfessato il suo primo ministro Hamadi Jebali che aveva annunciato le dimissioni del governo per sostituirlo con uno di tecnici senza sentire prima il partito. Una decisione “unilaterale” quella di Jebali che avrebbe dovuto seguire la prassi costituzionale che prevede un passaggio parlamentare che il premier ha invece saltato. Si è così consumata la frattura dentro Ennahda: da una parte Jebali e dall’altra il capo del partito, Rached Gannouchi. Nel frattempo la presidenza della Repubblica di Tunisia si prepara a seguire l’eventuale passaggio di poteri dall’attuale al nuovo governo anche se le annunciate dimissioni di Jebali non sono state ancora presentate. Il presidente Moncef Marzouki dovrà seguire tutti i passaggi contenuti nel decreto legge che regola i trasferimenti dei poteri. Sulle vicende tunisine Daniele Rocchi, per il Sir, ha raccolto la testimonianza di monsignor Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania e amministratore dell’arcidiocesi di Tunisi, da lui guidata per otto anni.
Eccellenza, come giudica i fatti che stanno portando la Tunisia nel caos?
“Ero a Tunisi il giorno che è stato ucciso Belaid e mi stavo recando in aeroporto per rientrare ad Amman. La notizia mi ha colpito profondamente. È la prima volta che si arriva all’omicidio politico e ciò spiega la reazione popolare, anche violenta, a questa morte. Nel Paese manca stabilità, il futuro è incerto per la mancanza di lavoro, per l’economia che non riparte. Il popolo, che tanta speranza aveva riposto in Ennahda, facendolo risultare vincitore alle elezioni di un anno e mezzo fa, ora lo contesta apertamente accusandolo di non avere portato avanti un programma politico ed economico efficace e di essere il mandante dell’omicidio di Belaid. La popolazione è tesa, non ha lavoro, non ha pane e la rabbia è esplosa”.

A peggiorare la situazione adesso è lo stallo politico con la spaccatura che si è consumata dentro il partito di maggioranza, Ennadha…
“La divisione di Ennahda potrebbe avere anche degli elementi positivi in termini di ribilanciamento interno. Il primo ministro Hamadi Jebali, infatti, è un islamico moderato che vorrebbe uno Stato islamico liberale ed aperto, al contrario del leader del partito, Rached Gannouchi, che porta avanti un programma politico islamico da realizzare a tappe”.

Abbandonata, almeno per ora, la possibilità di un esecutivo di tecnici, era emersa l’ipotesi di un governo di unità nazionale. È uno sbocco realistico?
“La scorsa settimana ero dal presidente della Repubblica di Tunisia, Moncef Marzouki, una gran brava persona ma senza potere effettivo. Lui sarebbe favorevole ad un governo di unità nazionale ma chi conta nel Paese oggi è il partito Ennahda. È lui che deve decidere”.

Non resterebbe che il voto…
“Spero nelle elezioni. Se si andasse al voto, Ennahda perderebbe almeno il 20% dei consensi, a vantaggio di un parlamento più moderato. Va detto che le elezioni previste nel giugno di questo anno sono state posticipate ad ottobre. Mi chiedo se dopo la morte di Belaid il Paese potrà sostenere altri otto mesi di incertezza. C’è poi aperta la questione della Costituzione ancora in bozza…”.

Un’approvazione che appare ancora lontana: il 23 gennaio scorso l’Osservatorio per i Diritti Umani ha indirizzato all’Assemblea nazionale costituente una lettera in cui chiede che vengano modificati alcuni capi del progetto costituzionale…
“Credo che sarebbe opportuno approvarla prima delle elezioni. Una nuova Carta potrebbe favorire l’uscita da questa grave crisi politica”.

Come accelerare questo iter?
“La comunità internazionale dovrebbe fare pressione affinché la si approvi e si vada al voto. Allungare i tempi è il gioco di Ennahda che potrebbe riorganizzarsi dopo i fatti ultimi di questi giorni”.

Fra poco lascerà la Tunisia, dopo otto anni di ministero episcopale nei quali ha visto nascere la primavera araba, ora si appresta a partire. Con quale animo?
“A Tunisi lascio un pezzo del mio cuore. Qui sono stato otto anni, qui ho imparato a fare il vescovo. Ma ora soffro con questo splendido popolo”.