ROMA – Ricorre oggi l’ottantaquattresimo anniversario della firma dei Patti Lateranensi che posero fine alla Questione Romana e siglarono una storica pace fra la Chiesa Cattolica e lo Stato Italiano. Per riflettere sull’importanza e sull’attualità di quell’evento, abbiamo intervistato uno dei massimi esperti italiani nelle questioni che riguardano i rapporti Stato-Chiesa: Giuseppe Dalla Torre. L’insigne giurista è nato a Roma il 27 agosto 1943. Alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 è stato segretario della delegazione italiana che, insieme a quella vaticana, ha lavorato per la revisione del Concordato. È stato Presidente Nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani. Ha insegnato in varie Università Romane concentrando la sua attività di docente nell’ambito della storia e dei sistemi delle relazioni fra Stato e Chiesa. È attualmente Magnifico Rettore dell’Università LUMSA e Presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano.
Egregio Professore, ricorre oggi l’ottantaquattresimo anniversario della firma dei Patti Lateranensi. Cosa è ancora oggi permanentemente valido e cosa invece potrebbe essere modificato o migliorato?
Resta valido, naturalmente, il principio che ispira i Patti e che poggia sulla distinzione fra l’ordine proprio della Chiesa e quello proprio dello Stato; così pure resta valido il principio di una sana collaborazione, non per compromissioni che confondano religione e politica, ma per rendere un servizio migliore alla persona umana. Come noto, i Patti Lateranensi sono costituiti da un Trattato e da un Concordato. Orbene, il Trattato ha dato una soluzione definitiva al problema della garanzia di libertà del Papa nell’esercizio della sua missione di governo della Chiesa universale; tale soluzione ha dato buona prova di sé. Il Concordato, poi, è stato già rivisto nel 1984 e non mi pare che ci siano al momento esigenze di modifiche o di aggiornamenti. Semmai si potrebbe osservare che talora nella prassi, soprattutto giurisprudenziale, non sempre la lettera delle sue disposizioni appare pienamente osservata, come invece dovuto per solenni impegni assunti dallo Stato in sede internazionale.
I Patti Lateranensi, dopo lungo dibattito parlamentare, sono entrati a farparte della nostra Costituzione. Nell’articolo 7 si afferma, fra l’altro, che Chiesa e Stato sono nel loro ordine indipendenti e sovrani. Firme importanti del giornalismo italiano e volti noti della cultura e dello spettacolo hanno erroneamente accostato questo articolo al motto di Cavour ”Libera Chiesa in Libero Stato”. Può fare qualche precisazione?
La famosa espressione del Cavour, che ha avuto una influenza incredibile nella cultura e nel pensiero politico del nostro Paese, sembra formalmente rappresentare un principio autenticamente liberale, ma a ben vedere esprime una concezione ancora giurisdizionalista dello Stato, per la quale cioè la Chiesa è nello Stato e sotto lo Stato, con la conseguenza che questo è legittimato ad introdursi nella vita interna della Chiesa con provvedimenti legislativi, amministrativi e persino giurisdizionali. Se volessimo tradurre il principio di cui al primo comma dell’art. 7 della nostra Costituzione parafrasando la formula del Cavour, dovremmo invece dire “Libera Chiesa e libero Stato”.
Quali sono i campi d’azione dove Chiesa e Stato riescono a collaborare meglio?
Credo nell’ambito dei servizi alla persona, nelle azioni di solidarietà, dove lo Stato può predisporre – a livello normativo ed amministrativo – le condizioni più favorevoli perché la galassia del volontariato cattolico – e non solo questo – possa svolgere nel modo migliore ed in maniera più efficace il suo servizio. Un servizio che solo il volontariato può realmente umanizzare e vivificare, grazie al carisma che lo anima e lo sollecita verso chi ha bisogno.
Qual è secondo lei il futuro della religione nell’Europa sempre più secolarizzata?
Non è facile fare previsioni, eppure non sono pessimista.p Innanzitutto perché penso che, come sempre è avvenuto in tutti i campi della storia umana, quando si giunge a toccare il fondo si produce poi una forza reattiva verso l’alto. Fuor di metafora, credo che l’Europa, e più in generale tutto l’Occidente, si accorgerà pian piano che la conquista di verità parziali – nella scienza, nella tecnologia, nell’economia, nei mass-media ecc. – non porta al bene dell’uomo, se non vi è un orientamento verso la Verità ultima. E poi non si deve dimenticare che il grande fenomeno immigratorio porta – e non solo con l’islam – ad una trasfusione di sentire e di pratiche religiose nel corpo secolarizzato delle nostre società.
Quale sarà il maggiore contributo che i politici di ispirazione cristiana potranno offrire nella prossima legislatura?
Credo che il contributo maggiore – che sarà per loro anche l’impegno più arduo, se vorranno davvero essere uomini impegnati in politica da cristiani – verrà dalla capacità di dialogo con le altre posizioni culturali ed ideologiche. Un dialogo che non è mero irenismo, ma che è capacità di confronto sereno e fermo, per dimostrare e far comprendere che le posizioni della Chiesa nei vari campi – si pensi fra tutti quello bioetico – non sono diretti a volere l’imposizione per legge a tutti di precetti religiosi, ma intendono contribuire ad affinare la ragione, con argomenti di ragione e non di fede, su ciò che risponde veramente alla natura dell’uomo ed alla sua dignità.