“Il Concilio dei padri” e il “Concilio dei media”. Questi i due binari su cui il Papa si è soffermato nell’ultima parte del suo discorso, a suggello dei ricordi personali filtrati attraverso la filigrana dei documenti conciliari, ripercorsi nelle loro grandi tematiche. Il “Concilio dei media”, ha spiegato, è “quasi un Concilio a sé”, e “il mondo ha percepito quello dei media e non quello dei padri”, che era “il Concilio della fede che cerca di comprendere i segni di Dio e di rispondere alle sfide” di quel momento, di “trovare nella Parola di Dio” i mezzi adeguati per rispondere. Il “Concilio dei giornalisti”, ha osservato il Papa, si svolgeva “fuori” dalla Chiesa: “Per i media, il Concilio era una lotta politica, di potere tra i diversi poteri della Chiesa”. Di qui la “banalizzazione dell’idea del Concilio”, per di più “accessibile a tutti”. Tutto ciò, per il Papa, “ha creato tante calamità, problemi, miserie. Seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata. Il vero Concilio ha avuto difficoltà a realizzarsi. Il Concilio virtuale è stato più forte del Concilio reale”. “Ma la forma reale era presente, e sempre più si realizza come vero rinnovamento della Chiesa”, ha assicurato Benedetto XVI spostando lo sguardo all’oggi.
Grandi aspettative. Sul Concilio c’erano “grandi aspettative”, aspettative “incredibili”. A testimoniarlo è stato il Papa, che ai preti romani ha raccontato la propria esperienza conciliare descrivendo quegli anni “pieni di speranza, di entusiasmo, di volontà di fare nostro il progresso” della Chiesa, di contribuire alla “forza del domani, e dell’oggi” della Chiesa, alle prese con il pensiero “contrastante” del modo moderno. I vescovi, ha precisato, “volevano essere il soggetto” – ma da “responsabili, non rivoluzionari” – e prima di preparare le liste per le Commissioni “volevano conoscersi un po’”: così è cominciata una “forte attività” fatta di “piccoli incontri trasversali”. “E così ho conosciuto grandi figure”, il racconto del Papa, che ha citato i padri De Lubac, Danielou, Congar. “E questa – ha commentato – è già un’esperienza dell’universalità della Chiesa, che non sempre viene da imperativi dall’alto, ma insieme cresce, sotto la guida del successore di Pietro”.
La domenica e il primato di Dio. Spesso si è accusato il Concilio di non aver parlato di Dio: invece, il Concilio “ha parlato di Dio”, perché il suo “primo atto” è stato di “aprire tutto il popolo santo” alla liturgia, attraverso la riforma liturgica, portando a compimento un processo cominciato già da Pio XII. Il tema dell’“unica liturgia” è stato quello affrontato per primo dal Papa, nel suo discorso di oggi. Il Concilio, secondo Benedetto XVI, ha fatto “molto bene” ad affrontare per prima la questione della riforma liturgica, perché così ha affermato “il primato di Dio, il primato della rivelazione”. Il mistero pasquale, in questo modo, diventa il paradigma dello stile del cristiano e del “tempo cristiano, espresso nel tempo pasquale e domenicale, giorno della Resurrezione del Signore”. “Peccato che oggi – la denuncia del Papa – la domenica si sia trasformata nel fine settimana, mentre è l’inizio della creazione e dell’incontro con Cristo Risorto”.
La Chiesa non è un’organizzazione. “La Chiesa non è un’organizzazione, qualcosa di strutturale, è un organismo, una realtà vitale che entra nella mia anima, così che io stesso divento un elemento costruttivo della Chiesa come tale”. A precisarlo è stato il Papa, che ripercorrendo idealmente il Concilio, a partire dai suoi ricordi personali, ha ricordato come la questione della dottrina sul primato petrino si riallacciava al concetto, elaborato dal Concilio precedente, il Vaticano I, di Chiesa come “corpo mistico di Cristo”. In questa prospettiva, la “Mystici Corporis Christi” è stato “il primo passaggio” del “completamento dell’ecclesiologia del Vaticano I”. “Noi siamo la Chiesa”, ha spiegato il Papa: “Noi stessi cristiani, insieme, siamo il corpo vivo della Chiesa”. “Il vero noi dei credenti, insieme con l’io di Cristo, è la Chiesa, non un gruppo che si dichiara Chiesa”, ha precisato il Santo Padre, ricordando che per “definire meglio la funzione dei vescovi” il Concilio ha coniato la parola “collegialità”, attorno alla quale si sono scatenate “discussioni accanite, anche esagerate” tra i padri. “Collegialità”, invece, è una parola nata “per esprimere che i vescovi, insieme, sono la continuazione dei Dodici, del corpo degli apostoli. Solo uno è il successore di Pietro, tutti gli altri diventano successori degli apostoli”. Questo, agli occhi del mondo, “appariva come una lotta per il potere, ma non lo era”.
La Chiesa è comunione. La concezione della Chiesa come “comunione” – uno dei cardini della dottrina del Concilio – “non è ancora totalmente matura”, e dobbiamo far sì che “diventi sempre più” parte dell’“essere della Chiesa, nelle sue diverse espressioni, sacramentale e concreta”. È l’invito del Papa, che dei lavori conciliari ha ricordato anche la “battaglia pluridimensionale” sul rapporto tra Scrittura e Tradizione. Menzionando la “Dei Verbum”, “uno dei più belli e innovativi documenti del Concilio”, dove emerge il tema della “Scrittura come Parola di Dio, che ci guida nella vita”, ma che “senza il soggetto vivo della Chiesa” sarebbe “solo un libro”. Benedetto XVI ha fatto notare che “anche oggi l’esegesi tende a leggere la Scrittura al di fuori della Chiesa”, grazie al “metodo storico-critico”. “Qui la lettura del Concilio non è ancora completa, è ancora da fare”, la tesi del Papa, che per un corretto rapporto tra Scrittura e Tradizione ha rimandato al “decisivo intervento”, fatto con “delicatezza, responsabilità e grande rispetto” per il Concilio: “La certezza della Chiesa nella fede non nasce soltanto da un libro isolato, ha bisogno del soggetto Chiesa illuminato dallo Spirito Santo: solo così la Scrittura parla e ha tutta la sua autorevolezza”.
La Chiesa, l’oggi e il futuro. “Un grande documento sull’escatologia cristiana e il progresso mondano, sulla responsabilità per la società del domani e del cristiano di fronte all’eternità”. Così il Papa ha definito la “Gaudium et Spes”, che ha anche “rinnovato l’etica cristiana” per “rispondere in modo concreto alle sfide del tempo”. La seconda parte del Concilio, ha ricordato Benedetto XVI, è stata dedicata al tema del rapporto tra la Chiesa e l’oggi, tra la Chiesa e l’epoca moderna, affrontando questioni come “la responsabilità per la costruzione e il futuro del mondo, per la società, la responsabilità dell’escatologia e dell’etica cristiana, la libertà religiosa, il progresso, la relazione con le altre religioni”. Per il Papa, testi come la “Dignitatis Humanae” e la “Nostra Aetate” hanno “anticipato” un tema che “solo trent’anni dopo si sarebbe mostrato in tutta la sua intensità e importanza”, ponendo come “essenziale, fondamentale per il dialogo la fede nell’unicità di Dio”, e il rapporto tra “l’unicità della rivelazione di Dio e la molteplicità delle religioni” come mezzo “con cui cerchiamo la pace”. “Anche l’Islam è una grande sfida, cosa che in un primo tempo non abbiamo tanto capito, oggi sappiamo come è necessario”, ha ammesso Benedetto XVI.