KOSOVO – Sono passati cinque anni dalla dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo: era il 17 febbraio 2008 quando il Parlamento di Pristina sanciva la separazione da Belgrado e la nascita del nuovo Stato.
È trascorso un lustro eppure il Paese rimane avvolto in una specie di limbo indefinito, in cui predomina il disinteresse delle diplomazie internazionali per quanto avviene in questa parte di Balcani. L’ennesimo controsenso della Storia tenuto conto che fu proprio per difendere il Kosovo che la Nato intraprese, nel 1999, il conflitto contro la Serbia.
Nonostante l’entusiasmo iniziale, solo 98 dei 193 Paesi rappresentati alle Nazioni Unite hanno riconosciuto la legittimità di quell’atto; a pesare sono le contrarietà di Russia e Cina (storiche alleate della Serbia) ma anche di alcuni fra i maggiori Paesi dell’Unione europea, come Spagna e Grecia.
Il Kosovo oggi è dominato dalla corruzione, mentre il governo non pare riuscire (ma lo vuole davvero?) a fare argine concretamente al crimine organizzato. Questo (assieme all’irrisolto status della minoranza serba a Nord del fiume Ibar) pone un’ipoteca sugli eventuali negoziati di stabilizzazione e adesione all’Ue, tenendo lontani anche gli investitori occidentali.
Gli ultimi dati ufficiali diffusi dall’Agenzia statistica nazionale risalgono al 2009 e parlano di 45 disoccupati su 100 (percentuale che lievitava a quasi il 70% per i giovani tra i 15 e i 34 anni): i quattro anni trascorsi da allora non hanno certo migliorato la situazione, anzi hanno reso il quadro ancora più fosco. Il Paese si regge ormai unicamente sui contributi assistenziali internazionali e sulle rimesse dei propri lavoratori emigrati all’estero con salari interni medi ben inferiori ai 300 euro al mese, tanto che il 45% della popolazione viene considerato sotto la soglia della povertà secondo gli standard.
Oggi nessuno può dire quale sarà il futuro del Kosovo. Lo stesso governo di Belgrado (pur non ammettendolo pubblicamente) sa bene che l’indipendenza di quell’area – ancora ufficialmente parte del territorio serba – deve essere ormai considerata un dato di fatto. Una perdita dolorosa ma necessaria per la Serbia, al fine di raggiungere l’adesione all’Unione europea, di cui anche Belgrado ha più che mai bisogno per risollevare la propria economia.
E così cinque anni dopo i giorni della gloria, quello del Kosovo rischia di essere un fantasma ingombrante nel cuore dell’Europa. Ignorarne l’esistenza o peggio ancora abbandonare il Paese in balìa di se stesso, sarebbe però l’errore più grande che le diplomazie occidentali (e anche l’Italia) potrebbero compiere in questo momento. L’Europa non può permettersi il lusso di una zona franca dalla legalità in quell’area così delicata come sono – e non da oggi – i Balcani.
È il momento di riaprire quell’occhio rimasto per troppo tempo socchiuso per i reciproci veti e interessi e assumersi l’impegno a dare, non solo un domani, ma prima di tutto un oggi al Paese.
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