“L’impossibilità di accesso all’adozione dei figli dei partner nelle coppie omosessuali” è “discriminatoria rispetto a quanto avviene per le coppie eterosessuali non sposate”. Lo ha stabilito con una sentenza di Grande Chambre, pertanto definitiva, la Corte europea dei diritti dell’uomo, a seguito del ricorso presentato da una coppia di cittadine austriache alle quali il Tribunale nazionale aveva negato la possibilità che una delle due potesse adottare il figlio dell’altra, nato nel 1995 al di fuori del matrimonio.
La sentenza in sintesi. Secondo un comunicato diffuso a conclusione dell’udienza, i 17 giudici di Strasburgo hanno ritenuto a maggioranza che, nel trattamento delle ricorrenti rispetto alle coppie eterosessuali non sposate, vi sia stata da parte della giustizia austriaca “una violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) e dell’art. 8, relativo al rispetto della vita familiare e privata, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Per la Corte, “la differenza di trattamento tra le ricorrenti e le coppie eterosessuali non sposate” è “basata sull’orientamento sessuale” delle prime, e il Governo austriaco “non ha fornito ragioni convincenti a dimostrare che questa differenza di trattamento sia necessaria per la protezione della famiglia o degli interessi del bambino”. I giudici hanno tuttavia concluso che la citata Convenzione “non obbliga gli Stati a estendere il diritto di adozione cogenitoriale alla coppie non sposate”. Nel febbraio 1995 le due donne avevano sottoposto un accordo per l’adozione al Tribunale distrettuale, e avevano chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare l’incostituzionalità delle disposizioni del Codice civile che potrebbero essere interpretate nel senso di escludere l’adozione del figlio di uno dei partner di una coppia omosessuale da parte dell’altro partner, senza l’interruzione del rapporto con il genitore biologico. Richieste respinte, così come i successivi ricorsi e appelli presentati dalle due cittadine austriache che nell’aprile 2007 hanno depositato un ricorso presso la Corte di Strasburgo invocando, appunto, l’art. 14 e l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per denunciare una presunta discriminazione basata sul loro orientamento sessuale.
Non esiste un diritto all’adozione. Sul caso si era espresso nelle scorse settimane con una nota l’European Centre for Law and Justice (www.eclj.org), Ong internazionale impegnata nella promozione e nella difesa dei diritti umani, richiamando anzitutto il diritto austriaco, secondo il quale, si legge nella nota, il termine “genitore” è riferibile solo “a due persone di sesso diverso”; pertanto “l’adozione di un bambino da parte di un uomo interrompe il legame del minore con il padre biologico, mentre l’adozione da parte di una donna ne interrompe il legame con la madre biologica”. Nel proprio parere, l’Eclj osservava inoltre che, nel caso di specie, “avendo già il minore i propri genitori, non vi era motivo di sostituirne uno con un genitore adottivo” perché “il migliore interesse di un minore è mantenere il proprio padre e la propria madre”. Infine la precisazione che la Convenzione dei diritti dell’uomo “non garantisce il diritto a un figlio, a adottare o a essere adottati”.
Decostruzione dei modelli antropologici fondamentali. “Ancora una volta – afferma Paola Ricci Sindoni, vicepresidente vicario dell’associazione Scienza & Vita – le sentenze della Corte di Strasburgo vanno a decostruire modelli antropologici fondamentali per la società e che sono radicati nella memoria e nel presente”. “In questo momento particolare – aggiunge – in Italia si confondono le richieste degli adulti con i diritti dei bambini, buttando in pasto alla campagna elettorale argomenti complessi senza che vi sia un adeguato dibattito all’interno del Paese”. Di qui un invito: “Ristabiliamo un confronto sereno e privo di ideologie, restituendo alla società civile ciò che è della società civile e che viene prima delle sentenze dei Tribunali e delle diatribe parlamentari: un bambino ha bisogno di un padre e di una madre, senza interpolazioni surrettizie”. Di sentenza che costituisce “una forma mascherata per far passare il diritto all’adozione tra coppie dello stesso sesso”, parla Massimo Gandolfini, uno dei due vicepresidenti della stessa associazione.
Nessun riflesso sull’ordinamento italiano. “La possibilità di adozione alle coppie omosessuali, riconosciuta dai giudici di Strasburgo, opera soltanto per quegli ordinamenti che consentono l’adozione anche alle coppie non sposate, mentre in Italia ciò non è possibile, in quanto Codice civile e Costituzione italiana indicano con chiarezza che la diversità di sesso dei coniugi costituisce presupposto indispensabile del matrimonio, e che solo a tale forma di unione il legislatore riconosce la possibilità di accedere all’adozione di bambini”. A precisarlo è Alberto Gambino, ordinario di diritto civile e direttore del Dipartimento di Scienze umane dell’Università europea di Roma. La Corte, conclude il giurista, conferma che “gli Stati non sono tenuti a riconoscere il diritto all’adozione dei figli dei partner alle coppie non sposate, ma laddove tale riconoscimento giuridico esista allora va esteso anche alle unioni omosessuali”.
La sentenza in sintesi. Secondo un comunicato diffuso a conclusione dell’udienza, i 17 giudici di Strasburgo hanno ritenuto a maggioranza che, nel trattamento delle ricorrenti rispetto alle coppie eterosessuali non sposate, vi sia stata da parte della giustizia austriaca “una violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) e dell’art. 8, relativo al rispetto della vita familiare e privata, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Per la Corte, “la differenza di trattamento tra le ricorrenti e le coppie eterosessuali non sposate” è “basata sull’orientamento sessuale” delle prime, e il Governo austriaco “non ha fornito ragioni convincenti a dimostrare che questa differenza di trattamento sia necessaria per la protezione della famiglia o degli interessi del bambino”. I giudici hanno tuttavia concluso che la citata Convenzione “non obbliga gli Stati a estendere il diritto di adozione cogenitoriale alla coppie non sposate”. Nel febbraio 1995 le due donne avevano sottoposto un accordo per l’adozione al Tribunale distrettuale, e avevano chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare l’incostituzionalità delle disposizioni del Codice civile che potrebbero essere interpretate nel senso di escludere l’adozione del figlio di uno dei partner di una coppia omosessuale da parte dell’altro partner, senza l’interruzione del rapporto con il genitore biologico. Richieste respinte, così come i successivi ricorsi e appelli presentati dalle due cittadine austriache che nell’aprile 2007 hanno depositato un ricorso presso la Corte di Strasburgo invocando, appunto, l’art. 14 e l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per denunciare una presunta discriminazione basata sul loro orientamento sessuale.
Non esiste un diritto all’adozione. Sul caso si era espresso nelle scorse settimane con una nota l’European Centre for Law and Justice (www.eclj.org), Ong internazionale impegnata nella promozione e nella difesa dei diritti umani, richiamando anzitutto il diritto austriaco, secondo il quale, si legge nella nota, il termine “genitore” è riferibile solo “a due persone di sesso diverso”; pertanto “l’adozione di un bambino da parte di un uomo interrompe il legame del minore con il padre biologico, mentre l’adozione da parte di una donna ne interrompe il legame con la madre biologica”. Nel proprio parere, l’Eclj osservava inoltre che, nel caso di specie, “avendo già il minore i propri genitori, non vi era motivo di sostituirne uno con un genitore adottivo” perché “il migliore interesse di un minore è mantenere il proprio padre e la propria madre”. Infine la precisazione che la Convenzione dei diritti dell’uomo “non garantisce il diritto a un figlio, a adottare o a essere adottati”.
Decostruzione dei modelli antropologici fondamentali. “Ancora una volta – afferma Paola Ricci Sindoni, vicepresidente vicario dell’associazione Scienza & Vita – le sentenze della Corte di Strasburgo vanno a decostruire modelli antropologici fondamentali per la società e che sono radicati nella memoria e nel presente”. “In questo momento particolare – aggiunge – in Italia si confondono le richieste degli adulti con i diritti dei bambini, buttando in pasto alla campagna elettorale argomenti complessi senza che vi sia un adeguato dibattito all’interno del Paese”. Di qui un invito: “Ristabiliamo un confronto sereno e privo di ideologie, restituendo alla società civile ciò che è della società civile e che viene prima delle sentenze dei Tribunali e delle diatribe parlamentari: un bambino ha bisogno di un padre e di una madre, senza interpolazioni surrettizie”. Di sentenza che costituisce “una forma mascherata per far passare il diritto all’adozione tra coppie dello stesso sesso”, parla Massimo Gandolfini, uno dei due vicepresidenti della stessa associazione.
Nessun riflesso sull’ordinamento italiano. “La possibilità di adozione alle coppie omosessuali, riconosciuta dai giudici di Strasburgo, opera soltanto per quegli ordinamenti che consentono l’adozione anche alle coppie non sposate, mentre in Italia ciò non è possibile, in quanto Codice civile e Costituzione italiana indicano con chiarezza che la diversità di sesso dei coniugi costituisce presupposto indispensabile del matrimonio, e che solo a tale forma di unione il legislatore riconosce la possibilità di accedere all’adozione di bambini”. A precisarlo è Alberto Gambino, ordinario di diritto civile e direttore del Dipartimento di Scienze umane dell’Università europea di Roma. La Corte, conclude il giurista, conferma che “gli Stati non sono tenuti a riconoscere il diritto all’adozione dei figli dei partner alle coppie non sposate, ma laddove tale riconoscimento giuridico esista allora va esteso anche alle unioni omosessuali”.