Per la nostra serie di interviste ai rappresentanti degli istituti scolastici della diocesi, abbiamo incontrato Noemi Capriotti rappresentante del Liceo Classico di San Benedetto del Tronto
Precedentemente abbiamo intervistato:
Davide Lazzari, rappresentante dell’IPSIA
Guido Benigni, rappresentante del Liceo Scientifico di San Benedetto del Tronto.
Valerio Pignotti, Andrea Valori e Michela Fazzini dell’IPSSAR di San Benedetto.
Simone Troli, rappresentante dell’IISS Fazzini/Mercantini di Grottammare.
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Cosa significa per te essere rappresentante d’istituto?
Questo è per me il secondo anno di rappresentanza, ed è per me un’esperienza di maggiore responsabilità e soddisfazione. Lo scorso anno ero di fronte a un compito nuovo e del quale non conoscevo molto, ma grazie agli altri rappresentanti ho potuto presto imparare come muovermi, come interagire in un contesto, quello del consiglio d’istituto, in cui è necessario interagire con la dirigente scolastica e in cui si discutono tematiche che riguardano 463 ragazzi. Ho desiderato candidarmi di nuovo perché durante lo scorso anno mi sembra di non essere riuscita a fare molto. Volevo realizzare qualcosa di più, prendendomi responsabilità maggiori, nella speranza di lasciare il mio segno. L’esperienza dell’autogestione è stata occasione di confrontarmi proprio con queste responsabilità. Essere rappresentante d’istituto è qualcosa che ti fa sentire grande nel tuo piccolo, che ti mette in movimento verso degli obiettivi – penso ad esempio al coinvolgere esterni nelle nostre attività, ma anche al far avvicinare i ragazzi a quelle problematiche politiche e sociali che, per mancanza di informazione o di interesse, non conoscono. È anche un impegno non indifferente per una persona come me, che per carattere non può fare a meno di dedicarsi a ogni cosa con il massimo dell’impegno, perché richiede molto tempo e energie. Mi sento però pienamente ripagata per quanto vi investo, tanto che lo vivo con l’intensità che richiederebbe un lavoro vero e proprio.
Relativamente alla protesta studentesca, cosa avete fatto come istituto, cosa state facendo e come pensate di organizzarvi in futuro?
L’episodio chiave è stato quello dell’autogestione, che abbiamo scelto di fare una volta considerata la situazione nazionale e locale. Ma la protesta per noi è partita il 24 Novembre, dal sit-in che abbiamo fatto assieme ai nostri professori, tenutosi in concomitanza con lo sciopero degli insegnanti indetto dai sindacati. Successivamente ci siamo riuniti in un’assemblea degli studenti per ascoltare le opinioni di tutti e decidere sul da farsi. In quell’occasione abbiamo scoperto che mancava un’informazione concreta sulle tematiche della scuola e delle riforme che l’avrebbero riguardata, su tutto ciò insomma che avrebbe dovuto muovere la protesta. Così la nostra priorità è stata quella di informare gli studenti, attraverso una serie di incontri su temi come l’ex DDL Aprea, le riforme dell’istruzione, i tagli alle scuole, l’occupazione come forma di protesta. Per quest’ultimo incontro abbiamo invitato dei magistrati e grazie ai loro interventi abbiamo compreso la legittimità dell’atto di occupazione e i limiti entro i quali potevamo muoverci senza uscire dalla legalità. Abbiamo inoltre affrontato temi di interesse più generale quali l’omofobia e la mafia, anche attraverso la proiezione dei film “Milk” e “I cento passi”. Il tutto si è svolto in accordo con la nostra preside, per garantire la massima trasparenza della manifestazione ed è stato realizzato grazie alla partecipazione e all’aiuto di tutti gli studenti e del Collettivo d’Istituto.
Quali aspetti della protesta studentesca sono ancora attuali?
La situazione, per la nostra come per tutte le altre scuole pubbliche, è ancora difficile: mancano i fondi anche per le attività interne, per i corsi di recupero e i progetti integrativi. E il problema dei tagli è ancora più evidente se pensiamo che interessa sempre più anche la realtà delle università. E purtroppo anche il problema dell’edilizia scolastica ci riguarda sempre più: sarà presto necessario chiedere di intervenire anche sulla nostra struttura.
Quali cambiamenti speri di vedere nel mondo della scuola e nella società?
Se non si investe sugli studenti e sulla scuola non si può pensare di vedere miglioramenti nel campo del lavoro e nella società: se oggi si crea una classe dirigente priva di cultura e competenza, si pregiudica la stabilità dell’intero Paese. È anche per questo, a mio avviso, che non siamo più competitivi in Europa, specie nel mercato del lavoro. È anche per questo che i ragazzi sono sempre più spesso costretti ad andare all’estero, secondo una scelta di vita che indubbiamente ti forma, ti fa crescere, ma ti costringe comunque ad allontanarti in maniera più o meno definitiva dal tuo luogo d’origine. Io vorrei lavorare in Italia per migliorare il mio Paese. Se i tagli sembrano ormai inevitabili, io spero in tagli più lungimiranti, che non trattino la scuola come qualcosa di superfluo: spero, perché ciò è quanto mai necessario, che la scuola pubblica sia messa al primo posto tra le priorità anche economiche!
Come vedi il futuro per voi studenti?
Vedo un futuro di proteste sempre più consapevoli, in cui anche i più giovani sapranno rendersi conto che la società non cambia da sola per il meglio, che siamo noi a doverla cambiare. Credo in un futuro che sarà migliore, quando ci sarà dato più ascolto e più spazio. In fondo un piccolo grande risultato è già stato ottenuto dagli studenti del nostro Liceo Classico: una maggiore consapevolezza delle problematiche della scuola pubblica italiana, consapevolezza che porta voglia di fare, di informarsi, di non essere più passivi, ma fautori del miglioramento nel nostro presente da studenti e futuro da universitari e lavoratori.
Qual è l’importanza del Liceo Classico oggi?
Io ho scelto il Liceo Classico senza sapere quale fosse, dopo aver risolto un’indecisione con il Liceo Linguistico, vista la mia passione per le lingue. Ma col tempo ho capito che è una scuola che ti cambia, che cambia il tuo approccio con le cose, dalle questioni più ampie alla tua vita quotidiana, perché ti fornisce i mezzi per sviluppare uno spirito critico, per porti in continuazione delle domande e sviluppare una tua personale opinione.
Qual è il tuo libro preferito?
“La città dei libri sognanti” di Walter Moers, che ho letto per la prima volta a dodici anni. Mi ha subito colpito perché parlava di uno scrittore ed io ho sempre amato scrivere. Si tratta in superficie di un coinvolgente fantasy, con delle ambientazioni e uno stile particolarissimi, che sa farti riflettere, emozionare e ridere, ma è anche un romanzo di formazione che narra il percorso di uno scrittore, dal suo primo contatto con la composizione fino alla stesura della sua più grande opera.
Quali sono i tuoi sogni?
Dicevo che ho sempre amato scrivere, e quindi sognavo di fare la scrittrice. Ma al momento credo di non essere adatta a renderlo il mio lavoro. Perciò il mio sogno è ora quello di lavorare nel campo editoriale, per fondare un giorno una mia casa editrice. Insomma desidero ancora pubblicare, ma il lavoro di altri, per dare spazio agli scrittori più giovani e dotati che non hanno possibilità presso le grandi case editrici, dato che il mercato su ampia scala richiede un certo tipo di prodotto. E poi chiaramente c’è l’università e il mio sogno di viaggiare in tutto il mondo.
Quali sono gli ideali che ti guidano?
Da scout, il mio ideale è “fare sempre del mio meglio”, dimostrare di essere all’altezza degli impegni e dei compiti che mi prendo, affrontarli con serietà e maturità. Cerco inoltre di lasciare sempre un segno, non dico nella storia perché sarebbe una pretesa troppo grande, ma almeno nella vita di chi mi ha conosciuto, di fare insomma qualcosa per gli altri.
Sei credente? Come vivi la tua fede?
Credo nell’esistenza di qualcosa di più grande, ma non mi riconosco in una religione. È una convinzione alla quale sono arrivata dopo una faticosa riflessione e non una posizione presa per comodità, perciò non credo che la figura del “credente non praticante” mi rappresenti.