ITALIA – Guardare alla famiglia – quella “vera”, formata da un uomo e una donna uniti in matrimonio e aperta alla vita – perché è uno snodo cruciale, un pilastro irrinunciabile per il futuro della società e del nostro Paese.
Ne è convinto il presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei cattolici italiani, l’arcivescovo di Cagliari, monsignor Arrigo Miglio, che al Sir presenta la 47ª Settimana Sociale, in programma a Torino dal 12 al 15 settembre 2013, sul tema “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana”. Nei giorni scorsi il Comitato ha reso nota una “Lettera invito al cammino di discernimento” verso l’appuntamento torinese (il cui testo integrale si trova sul sito www.settimanesociali.it), mentre nei prossimi mesi verrà diffuso il “Documento preparatorio”. “Già dalla ‘Lettera’ – spiega l’arcivescovo – si possono ricavare spunti per la riflessione e l’approfondimento a livello di Chiese locali, associazioni, gruppi. L’obiettivo è arrivare a Torino avendo già preparato il terreno per proposte concrete, come è proprio delle Settimane Sociali”.
Perché è stata posta la famiglia al centro della prossima Settimana Sociale?
“Siamo convinti che fare bene alla famiglia sia fare bene al Paese. Una consapevolezza che non è solo nostra, del Comitato scientifico e organizzatore, ma assai radicata e diffusa, nonostante molti messaggi mediatici vadano in senso contrario. I dati di carattere psicologico ed economico ci dicono che per la crescita del Paese è necessario passare attraverso la centralità della famiglia, poiché essa è uno dei pilastri del bene comune. La scelta di questo tema, inoltre, nasce dalla precedente Settimana Sociale, quella di Reggio Calabria, dove è stata proposta un’agenda per la crescita del Paese”.
Nella “Lettera invito” verso Torino invitate a ripartire dai cinque punti dell’“agenda di speranza” di Reggio Calabria – intraprendere, educare, includere, slegare la mobilità sociale, completare la transizione istituzionale – per svilupparli “nella prospettiva della famiglia”…
“In questi anni abbiamo riscontrato due fenomeni che vanno in direzioni opposte. Da una parte la centralità dei nodi evidenziati nell’agenda di Reggio Calabria: pensiamo alle riforme incompiute, alla legge elettorale tuttora immutata, ai bambini nati in Italia da famiglie immigrate, al legame tra famiglia e lavoro… Su questi punti c’è stato dibattito e si registrano consensi anche ad alti livelli. All’interno di ciascuno di essi abbiamo visto che il ruolo della famiglia è fondamentale. D’altra parte vi è una serie d’iniziative, politiche e giudiziarie, in Italia e in Europa, che sferrano colpi pesanti sulla famiglia ‘vera’, fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, che è quella della nostra Costituzione e di tutta una tradizione umana e giuridica. Questo ci ha portato alla convinzione di mettere a tema la famiglia, in maniera diretta e nella prospettiva tipica delle Settimane Sociali”.
Si può quindi affermare che la famiglia oggi, oltre a fare riferimento alla “questione antropologica”, sia la “questione sociale” per eccellenza?
“Questione sociale e antropologica sono ormai coincidenti: il problema antropologico è il primo problema sociale e la soluzione ai problemi sociali dipende dagli indirizzi di tipo antropologico che vengono dati. Parlare di antropologia vuol dire, però, chiamare in causa direttamente la famiglia e le sue ragioni. Parlare delle buone ragioni della famiglia significa, a mio parere, raccogliere l’insegnamento dell’enciclica ‘Deus caritas est’ – e anche per questo mi piace dedicare la preparazione di questa Settimana Sociale a papa Benedetto XVI, in questo delicato momento – laddove dice che ‘la dottrina sociale della Chiesa argomenta a partire dalla ragione e dal diritto naturale, cioè a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano’, e compito della dottrina sociale della Chiesa è illuminare e guidare la ragione. Dalla famiglia dipende il tipo di società che vogliamo costruire, la visione di libertà – educativa, ma non solo – che abbiamo. Metterne in evidenza le buone ragioni significa sottrarre la famiglia a una dialettica che la reputa un tema ‘confessionale’: non è così, tocca tutti, al di là dell’appartenenza di fede”.
La “Lettera invito” propone di “ascoltare la speranza che ci viene dal vissuto di tantissime famiglie”. C’è dunque un “vissuto” diverso da quello – per lo più problematico – che ci viene raccontato dai media?
“È così, ed è questo il paradosso. Tutti conosciamo un gran numero di famiglie ‘positive’, che faticano ma pure gioiscono per la loro vita familiare, e pure alcune che si spaccano. Ma il quadro che viene fuori dall’informazione quotidiana è rovesciato e rischia di creare la convinzione, specie nei giovani, che la maggioranza delle famiglie sia sfasciata, traumatizzata, con la conclusione che è impossibile aspirare a una vita familiare serena e positiva, come se questa fosse un miraggio, un’utopia irrealizzabile. Ma è proprio questa informazione distorta a essere un danno per le giovani generazioni”.
Disoccupazione, precariato e le altre problematiche lavorative odierne in che misura rendono difficile la creazione di una famiglia e la sua vita quotidiana? Che si può fare?
“Certamente le cause economiche ostacolano grandemente i progetti familiari di molti giovani. Ma il problema maggiore è lo stravolgimento dell’identità antropologica dell’uomo e della coppia. Bisogna lavorare insieme con solidarietà per superare le situazioni economiche difficili, ma se c’è uno stravolgimento culturale viene irreparabilmente snaturata la visione di uomo”.
Ha parlato prima d’interventi legislativi e giudiziari – in Italia e in Europa – che snaturano la concezione di famiglia “vera”. È all’ordine del giorno il dibattito, in Francia e Gran Bretagna, sui matrimoni gay, nei giorni scorsi vi è stata una sentenza della Corte di Strasburgo circa la “discriminazione” nell’“accesso all’adozione dei figli dei partner nelle coppie omosessuali”. Dalla Settimana Sociale può venire una parola chiara per il nostro Paese e per l’Europa?
“Mi auguro che vengano messi in evidenza due punti. Primo, l’equivoco enorme di chi ritiene che la difesa della famiglia sia un’ingiustizia rispetto ai diritti individuali di persone e coppie che fanno scelte di tipo diverso. Vogliamo invece mostrare che una società, nella quale il favor familiae viene rispettato e la famiglia è al centro, è una società più libera ed è più facile anche garantire i diritti dei singoli e delle varie forme di convivenza che possono esistere. Non mancano gli strumenti legislativi, senza bisogno d’istituti che finiscono per relativizzare l’esperienza della famiglia. In secondo luogo c’è un aspetto che riguarda il benessere dei figli. Ogni tanto compare qualche ricerca ‘taroccata’, che poi viene smascherata, nella quale si dichiara come sia indifferente il modello familiare circa l’educazione e la crescita dei minori. Non è così. Ancora una volta situazioni limite vengono cavalcate, magari giocando sull’ignoranza generale, per farle diventare paradigma normale della famiglia”.
Al centro degli Orientamenti pastorali dei vescovi italiani per il decennio c’è la questione educativa. Quale risposta viene dalla famiglia?
“Già nella settimana di Reggio Calabria abbiamo parlato della necessità di sostenere gli adulti-genitori a vivere la loro genitorialità. Vorremmo ora sottolineare questo legame profondo tra generare ed educare, e al contempo affermare uno dei principi fondamentali della visione non solo cristiana, ma anche costituzionale sulla famiglia: essa è una cellula fondamentale della società e i suoi diritti vengono riconosciuti, non concessi dal legislatore. Ha un diritto nativo a educare, come soggetto pubblico e primo luogo dell’educazione; pertanto deve avere lo spazio necessario per compiere quelle scelte educative che ritiene più adeguate”.
S’inserisce qui anche la libertà di scelta educativa nell’istruzione dei figli?
“Una visione di scuola pubblica non contempla solo quella statale, ma pure la scuola paritaria. Si tratta di difendere il pluralismo culturale ed educativo in un ambito così delicato come quello della scuola”.
Su questi temi – libertà educativa, fisco che tenga conto dei carichi familiari, conciliazione tra famiglia e lavoro ecc. – da anni si chiedono politiche pubbliche, ma il più delle volte alle parole, e talora alle promesse, non fanno seguito i fatti. Come continuare a perseguire queste battaglie senza rassegnazione?
“Siamo in un momento di grande evoluzione della società civile, favorevole per invitare tutti a riflettere sul tipo di società che vogliamo costruire e nel quale vivere. Altro motivo di speranza ci viene dall’Europa, pur con tutte le problematiche e le ambiguità che ha al suo interno: diversi Paesi hanno varato in questi anni politiche virtuose per le famiglie e i figli. Mi sembra opportuno allargare il nostro sguardo e favorire una rete di conoscenze e sinergie a livello europeo, per far conoscere le esperienze positive. Poi è il caso di guardare lontano, e facendo questo ci domandiamo: le proiezioni delle politiche antifamiliari dove ci stanno portando? La crisi demografica non è solo questione di numeri, è crisi culturale. L’invito è quindi quello di guardare al futuro – termine non a caso inserito nel tema della Settimana Sociale – e così sarà davvero possibile, finalmente, cambiare rotta”.
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