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La piazza e la finestra

Di Paolo Bustaffa

È il tempo del silenzio. Anche piazza san Pietro lo dice guardando alla finestra chiusa.

Non il “terribile silenzio” che Jan Ross, opinionista laico di Die Zeit, temeva ipotizzando una Chiesa completamente muta, senza più voce.
Ormai tutti sanno che quella iniziata alle ore 20 di giovedì 28 febbraio 2013 non è assenza di parole ma è una comunicazione altra che ogni persona sperimenta nei tornanti decisivi della propria e altrui vita.
È un inanellarsi di domande e di riposte tra l’infinitamente piccolo e l’Infinito.
È la stessa comunicazione che si vive entrando in una chiesa, posta sul lato di una piazza affollata o di una strada rumorosa, dove c’è un piccolo lume acceso.
Una fiammella che dice di una presenza.
Nulla di più e tutto di più di una scintilla.
Occorre fermarsi per accorgersi di quella minuscola lampada accesa e la sosta è un esercizio sempre più difficile in una società che si consuma nella velocità e nella fretta.
Chi si ferma è perduto.
Qualcuno ci da detto e ci sta dicendo che così non è affatto quando si guarda con onestà dentro se stessi.
C’è un altro messaggio forte che è venuto in questi giorni: si sono chiuse e sigillate le porte degli appartamenti pontifici ma se ne è spalancata una immensa: quella della preghiera.
Cosa c’è dietro, o meglio, chi c’è dietro questa porta?
Si è un po’ tutti, seppur in modo diverso, a cercare risposte alla domanda suscitata dal colpo di vento che ha interrotto la brezza alla quale ci si era abituati.
Le analisi e i commenti ci hanno accompagnato e continueranno ad accompagnarci in un tempo in cui la debolezza e la forza si sono confrontate e si confrontano mettendo sotto esame le logiche del potere e del successo.
Qualcuno è un po’ più avanti e qualche altro è un po’ più indietro nelle riflessioni e nella ricerca di una risposta.
Nessuno tuttavia può dire di essere giunto alla meta.
L’impressione di essere arrivati lascia infatti il posto alla scoperta che la strada continua alzandosi a quote sempre più alte.
Salire sul monte è molto faticoso per tutti, credenti e non credenti. Ma è anche molto bello per tutti, credenti e non credenti.
Si è ancora totalmente coinvolti nell’ avventura iniziata l’11 febbraio 2013 e raccontata con impeto dai media, con i loro pregi e i loro difetti, con i loro limiti e le loro potenzialità.
Anche il racconto mediatico può scuotere la coscienza e invitarla ad andare oltre, pur attraversandoli, i titoli, i testi, le immagini, i suoni.
I media, d’altra parte, sanno molto bene che il loro compito si ferma alla soglia del silenzio, della preghiera, del mistero.
Varcare quella soglia spetta i alla coscienza diventata come un pellegrino sulla via dell’Infinito, come un mendicante della verità. Spetta alla profondità dello sguardo di ciascuno leggere il messaggio del silenzio e della preghiera che sfugge alle parole scritte o pronunciate.
Scoprire che per infinito amore si esce dal mondo è si entra nel cuore dell’uomo è il frutto dell’abbraccio del pensare e del credere , è frutto del sentirsi pensati.
Un poeta come padre David Maria Turoldo può aiutare nel percorso che si è improvvisamente aperto: “Sommessa è la voce/ trattenuto il respiro/ si ode il sospiro/ e più quanto è taciuto. Dio chiama e seduce/ pago di un sorriso/ che irradia dal viso/ degli umili servi/ e l’inonda di luce”.
La luce non si è spenta, è stata posta più in alto, continua a illuminare la storia. Quel volto rimane per sempre “mysterium lunae”.

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