Di Domenico delle Foglie
ITALIA – Non che si abbia paura dell’Europa, ma con l’Europa bisogna fare i conti. E del giudizio dell’Europa non si può non tenere conto, non fosse altro che per il rilievo economico finanziario che ogni sospiro dei capi di Stato e di Governo ha sulla tenuta dello spread e in generale sulle performance dei Paesi deboli, come l’Italia oggettivamente è.
Non sorprende, quindi, l’iniziativa del premier tecnico Mario Monti, di invitare a Palazzo Chigi i leader dei tre principali partiti italiani (Pd, Pdl e M5S) in vista del consiglio europeo del 14 marzo. Un appuntamento vicinissimo al quale il governo italiano ha il dovere di presentarsi con un’idea di Europa che possibilmente goda della convergenza delle principali forze politiche italiane. Andare in ordine sparso e sparare a palle incatenate sul proprio esecutivo e sul governo europeo non solo non è uno spettacolo commendevole, ma soprattutto è un comportamento politicamente suicidario.
Dietro questa mossa di Monti si intravede la sagoma del Quirinale. Una presenza tanto più solida e rassicurante nelle ore difficili della Repubblica, nelle quali tutti i tentativi di dialogo sembrano scontare ancora il clima arroventato della campagna elettorale. I cittadini guardano al Colle, e al suo inquilino, come un sigillo di garanzia per la tenuta democratica del Paese e per la qualità del dibattito pubblico. Nei giorni a venire, è la speranza che si fa strada nell’opinione pubblica più avvertita, le polveri dello scontro elettorale pian piano si depositeranno per lasciare spazio a una riflessione più pacata, magari lontana dai riflettori di un’informazione ancora troppo urlata e poco pensata.
È possibile immaginare che dagli incontri separati di Monti con Bersani, Berlusconi e Grillo, e in particolare dalla qualità del dialogo che si svilupperà a Palazzo Chigi, il presidente della Repubblica potrà trarre alcune indicazioni preziose in vista delle consultazioni per la formazione del nuovo governo. La saggezza di Giorgio Napolitano non è in discussione, così come il suo desiderio di garantire all’Italia un posto fra i Grandi in Europa e nel Mondo, ma a condizione di tenere unito il Paese attorno a un’idea di comunità solidale che sa trovare dentro di sé le risorse morali per fronteggiare anche la più grave delle crisi istituzionali che l’Italia sia stata chiamata a vivere. Lo spettro dell’ingovernabilità certamente lo angustia, ma ancor più lo rende pensoso il rischio di uno sfilacciamento della coesione nazionale se, all’interno delle forze politiche, vecchie e nuove, emergono e si consolidano egoismi di partito che fanno perdere di vista il bene comune. Che in questo preciso momento, coincide con la costruzione di un governo in grado di preparare il futuro attraverso un’immediata svolta riformista. Il Quirinale, come tutti noi cittadini responsabili, immagina e spera che il governo futuro possa contare su una maggioranza in grado di dotare il Paese di una legge elettorale che garantisca governabilità e rappresentatività. Che possa mandare un segnale di speranza al Paese con interventi fiscali in grado di dare ossigeno immediato alle famiglie e ai lavoratori. Che sappia traghettare il Paese per un periodo congruo a garantire un fisiologico ricambio delle classi dirigenti, così che i vecchi partiti si riassettino e i nuovi si sperimentino nell’Agorà.
Nessuno può e deve tifare per lo sfascio nella speranza, mal riposta, di lucrare sulle macerie delle istituzioni, dell’economia e della società. Questa consapevolezza talvolta si appanna quando vecchi e nuovi pregiudizi prendono il posto del realismo. Se qualcuno non l’ha ancora capito, la casa brucia. E se tutti i pompieri non collaborano, non possono bastare neppure la saggezza e la lungimiranza del presidente della Repubblica. Questa è l’ora dell’orgoglio repubblicano.