Immaginate di trovare una grande città italiana, magari del nostro Meridione, tappezzata di manifesti 6 metri per tre in cui un bimbo pacioso e ricciuto, versando lacrimoni sulle gote brunite, rimproveri dolente la madre che lo ha messo al mondo: lo sai che essendo il figlio di una mamma adolescente ho il doppio delle probabilità di non andare all’università? In alternativa: una bimba dalla pelle scura guarda pensosa al cielo, brontolando saccente: onestamente mamma… è probabile che lui ti molli, e allora che ne sarà di me?
Ebbene, ne dà notizia il New York Times, ed è esattamente quello che sta accadendo nella Grande Mela, dove l’attivissimo sindaco Bloomberg prima ha cercato di ridurre le gravidanze delle teenager accollando l’educazione sessuale alle scuole pubbliche e “responsabilizzando” gli infermieri delle scuole superiori affinché fornissero strumenti per il controllo delle nascite, tra cui la pillola del giorno dopo. Non soddisfatto dei risultati, e con un occhio al bilancio municipale (follow the money…), ha pensato che il modo migliore per scoraggiare le adolescenti fosse quello di farle sentire in colpa per aver tenuto il proprio bambino. Un colpo di genio che manda serenamente all’aria ogni tipologia di cultura dell’accoglienza, nella città che si fa vanto di essere la più liberal, la più aperta ai gay, alle minoranze, ai diritti di tutti.
Già, perché proprio le minorenni povere afroamericane sono le più soggette a una gravidanza non preventivata. La campagna ha immediatamente sollevato un vespaio e non dai soliti pro-life, ma incredibilmente proprio da Planned Parenthood di New York City, in genere stretto alleato dell’Amministrazione in materia di salute riproduttiva. La Ong ha rilasciato una durissima dichiarazione che denuncia la campagna d’affissione, incentrata su una stigmatizzazione dei genitori adolescenti e dei loro figli, ignorando invece deliberatamente i fattori razziali, economici e sociali che contribuiscono a gravidanze in età adolescenziale. “Non sono le gravidanze delle adolescenti che causano la povertà, ma la povertà che causa gravidanze adolescenziali”, ha dichiarato Haydee Morales, vice presidente per l’istruzione e la formazione di Planned Parenthood.
Robert Doar, commissario dell’Amministrazione risorse umane della città, ha ribattuto che l’obiettivo della campagna era quello di inviare un messaggio di responsabilità personale che sarebbe in sintonia con gli adolescenti.
Per questa campagna, infatti, la città ha investito nell’arco di due anni oltre 400mila dollari, incluso il reclutamento di una società di marketing per condurre focus group con gli adolescenti, con i genitori di adolescenti, e con i genitori che avevano avuto figli quando erano adolescenti. Per introiettare meglio il concetto, i manifesti riportano un numero di telefono da cui ricevere un testo che descrive “i fatti” di gravidanze in età adolescenziale e con cui giocare al gioco dell’adolescente incinta Anaya e del suo fidanzato, Louis. Tramite una serie di sms interattivi, come in una storia a bivi, il gioco racconta una serie di difficoltà che Anaya e Louis devono affrontare e chiede al giocatore (adolescente) di scegliere che cosa dovrebbero fare i due. Le umiliazioni che Anaya affronta nel procedere della simulazione – dal padre che le dà della stupida, alla migliore amica che la chiama “grassa perdente” – veicolano chiaramente un solo messaggio: la gravidanza adolescenziale porta a conflitti familiari, isolamento sociale e povertà.
Ma che il problema di fondo non siano le responsabilità quanto piuttosto i soldi, è reso esplicito dallo slogan dei molti manifesti affissi sulle pensiline degli autobus in quartieri ad alto tasso di gravidanze in età adolescenziale: “Credi che essere una madre adolescente non ti costi?”.
Dopo tanto femminismo, oggi la “vergogna” di essere ragazza madre è quella che passa attraverso la statistica e le analisi del budget comunale.
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