Chi è Marco Pozza?
È un prete, uno dei tantissimi preti che ci sono. Faccio il parroco in una parrocchia un po’ diversa in un carcere di massima sicurezza a Padova dove ci sono un migliaio di detenuti. Sto finendo un dottorato in teologia fondamentale a Roma alla gregoriana, e faccio un corso di teologia all’università. E per passatempo riempio il tempo andando a incontrare i ragazzi nelle scuole, nelle piazze. Sono un prete creativo, mi piace il concetto della creatività, sono innamorato di essere prete, questo in questo momento qua è il segreto forse di tanti piccoli passi che stiamo facendo assieme a un gruppo di ragazzi quelli di “sulle strade di Emmaus” di questo sito. Da bambino avevo un sogno quello di diventare prete e una volta realizzato abito dentro questo sogno e cerco di farlo diventare un segno per la gente che incontro.
“Sulle strada di Emmaus” è una parrocchia virtuale, ma non è corretto poi definirla virtuale perché reale.
L’idea è partita quando sono andato a studiare a Roma, e non avevo più una parrocchia fisica, sentivo l’esigenza da più parti, soprattutto dai ragazzi che incontravo nelle scuole, in giro per l’Italia di trovare una modalità per mantenere i contatti, così 5 anni fa abbiamo ideato questa parrocchia, con alcuni ragazzi, che già nel titolo ha la sua fisionomia. “Sulla Strada di Emmaus” riprende la celebre pagina di Luca in cui si racconta che la sera di Pasqua, senza accorgersene, i due discepoli stanchi e sfiduciati hanno avuto la possibilità di incontrare il Signore risorto. Un tentativo di portare la Chiesa sulla strada, perché il Vangelo è nato sulla strada, un tentativo giovane, partito quasi un po’ per gioco, per vincere la solitudine nella quale ero stato condannato negli anni dello studio a Roma. Oggi è quasi un lavoro che porta via un sacco di tempo perché chiede di tessere relazioni, di rispondere a e-mail che sono sempre impegnative, a partecipare a incontri. Porta a costruire nel piccolo un movimento, un po’ come nel grande ha messo in piedi Beppe Grillo, un tentativo in cui invece di continuare a bestemmiare l’oscurità, si vuole accendere un fiammifero e magari qualche altro ci prende gusto e da due si passa a tre fiammiferi e un po’ alla volta si illumina. Diciamo che è una proposta di cristianesimo ottimista e giovane, per noi il pessimismo non è evangelico.
Incontri tanti giovani in giro per l’Italia, cosa li accomuna, come sono?
Io non credo a una fetta di sacerdoti che ormai si è rassegnata, han gettato l’ancora e pensano che questa sia una generazione già spacciata. L’anno scorso ho incontrastato in giro per l’Italia circa 130mila giovani e la cosa straordinaria è che la dove gli insegnanti e gli insegnanti di religione non mi invitano, i ragazzi raccolgono le firme durante le assemblee di istituto e chiamano un prete a parlar loro, non certo di Gesù Cristo, ma a parlar loro della speranza, dei sogni e del futuro. Se poi uno ci pensa e li legge con ottica evangelica, sono tre tematiche dietro alle quali si nasconde in borghese il volto del Signore. Quello che trovo nei ragazzi e che mi dà la forza di continuare a credere in questa battaglia , anche culturale che stiamo facendo, è quel grande senso di nostalgia che tu incroci dentro i loro occhi, occhi che hanno tutto. Se li squadri sono un investimento milionario di abiti griffati e oggetti, eppure nello sguardo ci sono delle tracce di nostalgia, di una malinconia nel cercare un qualcosa che dia un senso profondo alla loro vita, che ci siano degli educatori che insegnino loro non tanto come si fa a vincere ma come si fa a gestire una sconfitta e soprattutto che li rendano protagonisti di qualcosa di bello.
Ho incontrato ragazzi in istituti dove tutti ti mettono in guardia, “vai nel Bronx”, ma in realtà poi scopri che il Bronx lo creiamo noi quando abbiamo dei preconcetti su dei ragazzi e che invece alla fine dimostrano che sono lì, con il cuore aperto e sono disponibili ad accettare una proposta che tu fai loro. A due patti: prima di tutto che tu sia credibile con quello che tu dici e poi che tu possa parlare un linguaggio che loro capiscano. È questo che vorrei far capire a quella fetta di chiesa che si è arresa, che non è vero che ai ragazzi non interessi più della proposta del Vangelo e di Gesù, è che non capiscano più il linguaggio con il quale lo proponiamo, perché è un linguagio fatto di abitudini, lontano mille miglia dal loro vissuto. Per cui da una parte sentono la curiosità di avvicinarsi, e dall’altra se ne tornano indietro ancora più rattristati perché non si è stati capaci di tradurre in un linguaggio a loro comprensibile, questa bellezza che si dice di avere. Penso che oggi la nostalgia sia l’altro nome che Dio usa per viaggiare in borghese in mezzo ai ragazzi. Altrimenti non si spiegherebbe perché dei ragazzi per un’ora e quaranta sono, con gli occhi lucidi, di fronte a un prete che prende una pagina di vangelo e la commenta con loro. Questa è la dimostrazione che il pessimismo ecclesiale ha fallito, perché su tante cose noi preti non vogliamo metterci la faccia e non abbiamo più il coraggio, spinti come siamo a far carriera, a mantenere uno status quo, e abbiamo scelto la strada facile di dire “ma ai ragazzi non interessa”. Forse a noi non interessa di rischiare per portare avanti la speranza.
Papa Benedetto XVI quali insegnamenti ci lascia, soprattutto con la sua scelta ultima?
Il gesto del papa può averci insegnato una cosa, che per scrivere una pagina di storia non occorre regnare duecento anni basta compiere un gesto che, se ha dentro lo spirito della profezia, è una rivoluzione. E questo papa ci ha insegnato due cose: prima di tutto a riportare l’attenzione su Gesù cristo, un papa che ha speso il suo ministero per ridire alle persone: eccolo là l’Agnello di Dio, è Lui che dovete seguire. La seconda cosa che ci ha insegnato è che a volte per vincere bisogna avere l’umiltà apparentemente di perdere, perché letto con gli occhi profani è il gesto di uno sconfitto, di un lottatore che ha tentato di purificare la Chiesa, non ci è riuscito, e sembra essersene tirato fuori apparentemente. In realtà con gli occhi cristiani questa è stata una grande vittoria. Perché ci ricorda che la Bibbia è l’unico libro scritto da perdenti, il popolo d’Israele, sconfitto, ha scritto la storia della salvezza , l’unico libro perché la storia la scrivono i vincitori. Il papa ha insegnato al mondo non come si fa a vincere ma come si fa a perdere e accentando questa sconfitta, a costruire una grande rivoluzione. Se si consoce la biografia di Benedetto XVI si trova che uno dei suoi primi libri si intitolava “La rivoluzione di Dio” e si riconosce in lui uno spirito rivoluzionario. Con questo gesto è come se avesse fatto l‘inclusione finale: Dio ha fatto la sua rivoluzione e lui ha tradotto la rivoluzione di Dio in questo gesto. Penso che il messaggio che è passato sotto è che il cristianesimo non è un gioco.
Nomini spesso la maestra Assunta ma che ruolo hanno gli insegnanti oggi?
Sono convinto, ma questo è un paradosso, che gli insegnanti bravi debbano rimanere precari perché la bellezza è precaria su questa terra. Quando tu vedi delle persone appassionate, convincenti, innamorate queste sono precarie agli occhi della gente. Il ruolo di un insegnante si avvicina a quello del prete, dell’educatore, perché è una professione ma è una missione prima di tutto. Lo sbaglio che facciamo noi insegnanti a volte è quello di essere tutti preoccupati di trasmettere qualcosa dentro alla testa dei ragazzi, quando in realtà fare l’insegnate è proprio il contrario. Dentro questi ragazzi hanno già tutto, l’insegnante deve risvegliare dentro i loro cuori la passione per queste cose, renderli coscienti di quello che loro hanno dentro ma non si rendono conto di avere. È il concetto della maieutica. Certo che è difficile, ma è come il lavoro di uno scultore, tu vedi un blocco di pietra, Michelangelo ci vedeva la Pietà, e la sua grandezza è che ha tirato via tutto quello che era superfluo, non ha aggiunto nulla. Il lavoro dell’insegnante è cercare di tirar via il superfluo poi il resto salta fuori da sé da dentro. Io ho incontrato una maestra che mi ha fatto capire che la scuola è un divertimento sano. Io andavo a scuola per divertirmi. Una maestra che quando sono diventato prete, non lo dimenticherò mai, mi ha scritto un biglietto, il più semplice e più striminzito di tutti, con questa frase “Oggi comincia un viaggio, ti auguro di uscirne vincitore ma ricordati: s’impara solo divertendosi” Una frase di Anatole France, che lei ripeteva sempre a scuola. La mia fortuna è stata questa, che ho incontrato da prete e nella scuola, dei maestri che mi hanno insegnato che se vuoi imparare qualcosa devi provare un senso di divertimento. Cioè se faccio il contadino ,mi diverto a farlo, se faccio il prete mi diverto a fare il prete. Che non significa vivere da dissoluto ma provare gioia facendo le cose di tutti i giorni.