La parola centrale dell’omelia, quella del “la” del programma di pontificato, è proprio “custode”: ben strano con un pontificato inteso come supremazia, vertice ragguardevole e dignità somma.
Il “custode” si spende in solo servizio e si identifica con una persona ben precisa, una persona umana che, come ben conosciamo dal racconto evangelico, i dubbi, le perplessità, le esitazioni le ha sperimentate, tanto da prendere una decisione radicale: rimandare la sposa incinta. Decisione equa, spiegano gli esperti. Non quella di Dio però ed è qui che risplende la grandezza di Giuseppe: sa cambiare ottica.
Papa Francesco ci spiega come gli riuscì e come riuscirà a lui stesso e a noi, se vogliamo camminare sulle vie di Dio e non sulle nostre, così da non ritrovarci a “custodire” quei possessi che, una volta assunta la posizione orizzontale (una volta morti!) in attesa di essere rialzati dalla forza del Risorto, dovremo tutti abbandonare.
Le caratteristiche di Giuseppe quali sono? Presto detto e presto… inchiodati… non si scappa: è così.
“Con discrezione”: senza apparati mediatici che facciano da cassa di risonanza e, positivamente, scrutando la storia, la realtà in cui l’Altissimo che Lo guida, continua a operare in una creazione continua;
“Con umiltà”: in verità, senza ricercatezze, senza quella self-image che ci costruiamo come maschera e ci impedisce di entrare dentro di noi e scoprire di essere abitati, mai dimenticati;
“Nel silenzio”: non nel cicaleccio, non nella chiacchiera vuota che sconfina nel pettegolezzo, disperde le forze dello spirito ed impedisce l’incontro con Colui che mai “si stanca di perdonarci”, come continua a ribadire il nostro Pastore.
Sembrano caratteristiche ovvie, ma sono nostre nel profondo? Giuseppe è così e così si pone “anche quando non comprende”. E ne ebbe ben donde… dal momento in cui accettò di leggersi e leggere la sua vicenda con lo sguardo dello Spirito.
L’esito è perfino banale nella sua quotidianità semplice: “una presenza costante e una fedeltà totale.
“Presenza costante” significa che Giuseppe non si prese degli stacchi per troppo stress e neppure si godette dei week-end di relax. Seppe essere sempre presente e affrontare un Figlio, a dir poco problematico, e una Sposa che, per prima, lo precedette nel suo “sì” di adesione.
La drammaticità della vita di questa Famiglia ci è ben nota e ci fa sussultare, perché sono le “prime pietre vive” su cui poggiamo e da cui traiamo vita ed energia. Per la semplice ragione che sono radicate nella “fedeltà alla sua Parola, al suo disegno”, allora il costruttore non è neppure Mastro Giuseppe ma “Dio stesso che costruisce la casa”. Non pietre pregiate o lussuose ma pietre paradossalmente vive perché “segnate dal suo Spirito”.
Così il “custode” non è uomo di fatica e di basso rango, anche se di lavoro per mantenere la famiglia Giuseppe ne dovette fare tanto, ma persona che riconosce il segno dello Spirito e si muove in ogni evento pienamente abbandonato: “Sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge”. Vocazione impegnativa la sua, peraltro come quella di ciascuno perché la vita è pur sempre una sola!
Il “Custode” quindi ci indirizza correttamente al luogo dove dobbiamo giungere ed incontrare Cristo: “centro della vocazione cristiana”. Ci insegna come custodirLo perché Egli stesso Lo custodì.
Per noi indubbiamente ma in una postura di piena donazione, rispondendo:
– al dono del creato, vocazione comune a tutti perché precede ed è “semplicemente umana, riguarda tutti”.
– alla custodia della “gente, all’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore”.
– alla custodia fra coniugi, genitori e figli;
– alla custodia di ogni volto umano “con tenerezza”.
Custodire comporta anche la dimensione dell’espellere “Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono!”.
Ne consegue chiaramente una dimensione nuova che taglia i ponti con il potere, reale o immaginato, di un Papa monarca e ne dona uno che vuole diventare sempre più evangelico “il vero potere è il servizio” raggiungendone “il suo vertice luminoso sulla Croce”.
Aria ecumenica nuova che incita a “far risplendere la stella della speranza”, con passi da scarpe usate come quelle di Francesco.