Il saluto ai fratelli musulmani e l’abbraccio ideale a tutti coloro che sono alla ricerca di “verità, bontà, bellezza”. Sono i gesti con cui Papa Francesco, seduto su un semplice trono bianco al centro della Sala Clementina, ha accompagnato il suo discorso ai “delegati fraterni” di Chiese, comunità ecclesiali e organismi ecumenici internazionali, rappresentanti del popolo ebraico e di religioni non cristiane, arrivate a Roma per la celebrazione di ieri, inizio ufficiale del suo ministero di vescovo di Roma.
Prima dell’udienza in Sala Clementina, Papa Francesco aveva ricevuto singolarmente Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, e il metropolita Hilarion, del patriarcato di Mosca, trattenendosi con loro rispettivamente 20 e 15 minuti. Al termine degli incontri, Bartolomeo e Hilarion hanno regalato al Papa due icone mariane. Con quasi mezz’ora di ritardo, l’ingresso nella Clementina, salutato da un fragoroso applauso, poco meno di dieci minuti la durata del discorso, che ha fatto seguito al saluto di Bartolomeo I.
Vivere la preghiera per l’unità. “Cari fratelli e sorelle – le prime parole del Papa – è motivo di particolare gioia incontrarmi oggi con voi, delegati delle Chiese ortodosse, delle Chiese ortodosse orientali e delle Comunità ecclesiali d’Occidente. Vi ringrazio per avere voluto prendere parte alla celebrazione che ha segnato l’inizio del mio ministero di Vescovo di Roma e Successore di Pietro”. Poi il ricordo di ieri: “Durante la Santa Messa, attraverso le vostre persone ho riconosciuto spiritualmente presenti le comunità che rappresentate”. “In questa manifestazione di fede – l’istantanea di Papa Francesco – mi è parso così di vivere in maniera ancor più pressante la preghiera per l’unità tra i credenti in Cristo e insieme di vederne in qualche modo prefigurata quella piena realizzazione, che dipende dal piano di Dio e dalla nostra leale collaborazione”.
L’Anno della fede e il Concilio. “Inizio il mio ministero apostolico – ha proseguito il Papa – durante quest’anno che il mio venerato predecessore, Benedetto XVI, con intuizione veramente ispirata, ha proclamato per la Chiesa cattolica Anno della fede”. “Con questa iniziativa, che desidero continuare e spero sia di stimolo per il cammino di fede di tutti – ha spiegato il Papa ai delegati fraterni – egli ha voluto segnare il cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, proponendo una sorta di pellegrinaggio verso ciò che per ogni cristiano rappresenta l’essenziale: il rapporto personale e trasformante con Gesù Cristo, Figlio di Dio, morto e risorto per la nostra salvezza”. “Proprio nel desiderio di annunciare questo tesoro perennemente valido della fede agli uomini del nostro tempo, risiede il cuore del messaggio conciliare”, ha assicurato il Papa. “Insieme con voi non posso dimenticare quanto quel Concilio abbia significato per il cammino ecumenico”, ha aggiunto, citando il “memorabile discorso d’inaugurazione” di Giovanni XXIII, di cui “ricorderemo tra breve il cinquantesimo della scomparsa”: “La Chiesa cattolica ritiene suo dovere adoperarsi attivamente perché si compia il grande mistero di quell’unità che Cristo Gesù con ardentissime preghiere ha chiesto al Padre Celeste nell’imminenza del suo sacrificio”.
Unità “segno di speranza” per un mondo diviso. “Sì, cari fratelli e sorelle in Cristo, sentiamoci tutti intimamente uniti alla preghiera del nostro Salvatore nell’Ultima Cena, alla sua invocazione: ut unum sint”, l’esortazione del Papa: “Chiediamo al Padre misericordioso di vivere in pienezza quella fede che abbiamo ricevuto in dono nel giorno del nostro Battesimo, e di poterne dare testimonianza libera, gioiosa e coraggiosa”. “Sarà questo – ha assicurato – il nostro migliore servizio alla causa dell’unità tra i cristiani, un servizio di speranza per un mondo ancora segnato da divisioni, da contrasti e da rivalità. Più saremo fedeli alla sua volontà, nei pensieri, nelle parole e nelle opere, e più cammineremo realmente e sostanzialmente verso l’unità”.
Da parte sua, il Papa ha assicurato, “sulla scia” dei suoi predecessori, “la ferma volontà di proseguire nel cammino del dialogo ecumenico”, ringraziando il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani “per l’aiuto che continuerà ad offrire, in mio nome, per questa nobilissima causa”. Poi una richiesta personale: “Vi chiedo, cari fratelli e sorelle, di portare il mio cordiale saluto e l’assicurazione del mio ricordo nel Signore Gesù alle Chiese e Comunità cristiane che qui rappresentate, e domando a voi la carità di una speciale preghiera per la mia persona, affinché possa essere un Pastore secondo il cuore di Cristo”.
Un saluto a ebrei e musulmani. Nella parte centrale del suo discorso, Papa Francesco si è rivolto agli ebrei e ai musulmani: ai “distinti rappresentanti del popolo ebraico”, il Papa ha ricordato che “ci lega uno specialissimo vincolo spirituale”, dal momento che, come afferma la “Nostra Aetate”, “la Chiesa di Cristo riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti”. “Vi ringrazio della vostra presenza – le parole del Papa – e confido che, con l’aiuto dell’Altissimo, potremo proseguire proficuamente quel fraterno dialogo che il Concilio auspicava e che si è effettivamente realizzato, portando non pochi frutti, specialmente nel corso degli ultimi decenni”. Papa Francesco ha poi salutato e ringraziato “cordialmente” i “cari amici appartenenti ad altre tradizioni religiose”. Innanzitutto i musulmani, che “adorano Dio unico, vivente e misericordioso, e lo invocano nella preghiera, e voi tutti”. “Apprezzo molto la vostra presenza”, ha detto il Papa a tutti: “In essa vedo un segno tangibile della volontà di crescere nella stima reciproca e nella cooperazione per il bene comune dell’umanità”.
Tenere viva la sete dell’assoluto. “La Chiesa cattolica è consapevole dell’importanza che ha la promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose”, ha affermato il Papa, citando “il prezioso lavoro che svolge il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, ma “è ugualmente consapevole della responsabilità che tutti portiamo verso questo nostro mondo, verso l’intero creato, che dobbiamo amare”. “E noi possiamo fare molto per il bene di chi è più povero, di chi è debole e di chi soffre, per favorire la giustizia, per promuovere la riconciliazione, per costruire la pace”, ha esclamato a proposito del compito comune: “Ma, soprattutto – ha aggiunto – dobbiamo tenere viva nel mondo la sete dell’assoluto, non permettendo che prevalga una visione della persona umana a una sola dimensione, secondo cui l’uomo si riduce a ciò che produce e a ciò che consuma: è questa una delle insidie più pericolose per il nostro tempo”.
Vicini a chi cerca “verità, bontà e bellezza”. “Sappiamo quanta violenza abbia prodotto nella storia recente il tentativo di eliminare Dio e il divino dall’orizzonte dell’umanità, e avvertiamo il valore di testimoniare nelle nostre società l’originaria apertura alla trascendenza che è insita nel cuore dell’uomo”, l’altra consegna del Papa per il proseguimento del dialogo. “In ciò – ha assicurato – sentiamo vicini anche tutti quegli uomini e donne che, pur non riconoscendosi appartenenti ad alcuna tradizione religiosa, si sentono tuttavia in ricerca della verità, della bontà e della bellezza di Dio, e che sono nostri preziosi alleati nell’impegno a difesa della dignità dell’uomo, nella costruzione di una convivenza pacifica fra i popoli e nel custodire con cura il creato”. “Cari amici, grazie ancora per la vostra presenza. A tutti vada il mio cordiale saluto”, le ultime parole di Papa Francesco.