Un giornale ha titolato: “Troppo Veloce”. Ha fatto tutto troppo in fretta Pietro Mennea: ha trionfato su tutte le piste d’atletica, ha stabilito un record del mondo epocale sui 200 metri piani, ha vinto un’Olimpiade all’ultimo respiro, quando tutti lo avevano dato per spacciato. E se ne è andato troppo presto, sconfitto da un male incurabile a soli 60 anni, dopo aver dedicato l’ultimo periodo della sua vita alla lotta al doping.
Per un paio di generazioni era stato un simbolo di quell’Italia del Sud che nata senza mezzi, si era riscattata grazie a tanto sudore e una ferrea tenacia. “Sono un uomo del Sud che ha fatto il record del mondo senza avere una pista”, amava dire, per far capire a tutti quante difficoltà aveva incontrato in una Barletta allora senza campi d’allenamento, a imporsi nella grande atletica della velocità a costo di grandissimi sacrifici (veniva da una famiglia come tante, il papà sarto, la mamma casalinga) e una forza di volontà senza pari: lui gracilino eppure veloce, imprendibile anche per i colossi di colore, che dovettero attendere 17 anni per battere quel favoloso 19’72’’, che resta tuttora miglior tempo di sempre a livello europeo sui 200 metri. Proprio quella fantastica avventura, coronata dal record mondiale a Città del Messico, era nata a Formia sotto lo sguardo vigile del suo mentore, il professor Vittori, sempre con il cronometro in mano, con allenamenti pazzeschi che duravano fino a notte. Un talento purissimo, con un carattere forte, deciso, che non faceva sconti, ma che ai giovani insegnava tanto: la voglia di sacrificarsi, la convinzione che se uno vuole arrivare nella vita, può farcela, ma senza scorciatoie, senza furbizie e soprattutto senza la vergogna del doping. Un modo di fare che aveva avuto fin da bambino, quando sfidava in velocità, a piedi, le fuoriserie, dalle Porsche alle Ferrari, per pagarsi un cinema o un panino. La stessa grinta che poi mise negli studi quando, terminata la carriera agonistica, conseguì una dopo l’altra quattro lauree (Giurisprudenza, Scienze politiche, Lettere e Scienze motorie) altro record per uno sportivo. Poi la carriera politica, con l’elezione a eurodeputato. Ma la sua notorietà, Mennea, la mise anche a servizio degli altri: nel 2006 aveva inaugurato la Fondazione Mennea, onlus a carattere filantropico, con donazioni e assistenza sociale a enti caritatevoli o di ricerca medico-scientifica.
In tempi di caduta dei valori, anche sportivi, Mennea si ritrovava sempre meno con quello che per oltre vent’anni era stato il suo mondo e che ora era ostaggio degli sponsor e delle tv, o ancora peggio di quei laboratori che generavano mostri anabolizzanti, che in gara pompavano in maniera innaturale le loro ginocchia all’altezza della testa di Pietro. Addio Mennea, chi ha seguito la tua parabola continuerà a correre per te.