SAN BENEDETTO DEL TRONTO– Martedì 2 aprile, presso il Teatro Concordia alle ore 17.00 e 21.30, verrà trasmesso il film: Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi.
Stefano e Nader condividono ogni momento della loro esistenza. Entrambi adolescenti della periferia romana invischiati in loschi giri, uno italiano e l’altro egiziano, passano dalle rapine al supermercato alle mattinate in discoteca senza che nulla intacchi il loro rapporto. Anche Brigitte, la fidanzata di Nader, è italiana ma i genitori del giovane si oppongono a un amore che considerano contrario ai loro valori culturali. Dopo l’ennesimo scontro in famiglia, Nader decide di scappare di casa per andare incontro a una settimana in cui cercherà di scoprire la propria identità. Diviso tra l’essere italiano e le radici egiziane, sopporterà freddo, fame, paura, solitudine e perdita dell’amicizia per di capire chi è.
Un pedinamento di vite ai confini. Due giovani ragazzi, un italiano e un egiziano immigrato di seconda generazione, le loro famiglie, i loro amici, tutti in quella zona liminale di Roma, già in periferia, tra la fine del Raccordo e Ostia. Una terra di mezzo, quasi una terra di nessuno, popolata di immigrati di varia origine, ragazzi dalla vita difficile, in bilico tra regole troppo dure da rispettare, siano quelle imposte dalla società o dalla propria famiglia, e microcriminalità, fatta di furtarelli e rapine. C’è chi resiste. Chi, invitabilmente, cede e si ritrova immischiato in affari più grandi dei suoi 16 anni, ancora un ragazzino, ma già fin troppo adulto. Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi, Premio Speciale della giuria al 7° Festival Internazionale del Film di Roma, fotografa una realtà che già aveva introdotto in Fratelli d’Italia, dal quale trasporta Nader in questa fiction che mantiene un rapporto strettissimo con la vita vissuta.
La vicinanza rispetto al reale, quasi in maniera neorealistica (dai non attori che mantengono i loro nomi e portano le loro esperienze nel film al grande spazio dato agli esterni, magnificamente fotografati da Daniele Ciprì, passando per un linguaggio tipicamente quotidiano e dialettale), è sottolineata dalla preponderanza dei primi piani, su cui Giovannesi si focalizza, cogliendo espressioni e conflitti interiori e stando addosso ai suoi personaggi, quasi un tutt’uno con la macchina da presa. Si accorcia qualsiasi distanza, non solo spaziale, ma anche da un punto di vista psicologico, andando a partecipare emotivamente alle vicende di questi ragazzi, pur sapendo mantenere un’oggettività necessaria per porter parlare di temi importanti quali l’immigrazione, l’integrazione difficile nella società, la differenza di etnia e i conflitti religiosi. Giovannesi presenta questa realtà in maniera naturale, a partire dal quotidiano e dall’ambiente familiare, quello in cui Nader è diviso tra le leggi dei genitori, ancora legati alla loro tradizione e al loro paese d’origine, mentre il ragazzo si sente del tutto italiano e vorrebbe vivere come tale, fare tutto ciò che è concesso agli altri sedicenni, per poi contraddirsi e comportarsi come il padre avrebbe fatto. Un paradosso, quasi una performance nell’assumere un ruolo diverso da quello che gli è stato assegnato, quasi una finzione così come quegli occhi azzurri che celano quelli veri, di un caldo nocciola. Il reale, allora, emerge direttamente dalla macchina da presa, dalle immagini grezze e brutali, dirette, dallo sguardo di Nader e dalle sue lacrime. Quella di Giovannesi è una lezione colta e rielaborata in maniera attualissima, in grado di colpire lo spettatore e stimolare la riflessione. Un esempio che il cinema italiano dovrebbe seguire più spesso.