ACQUAVIVA PICENA – Piera è la mamma di quattro meravigliosi figli, due femmine e due maschi: Federica, Antonio, Maria Lucia e Lorenzo; insieme al marito, Maurizio, sta portando avanti una battaglia impegnativa per poter crescere l’ultimo dei suoi figli in modo tale che possa fare una vita per quanto possibile sua: sì, perché il piccolo Lorenzo è nato con la sindrome di Down o trisomia del cromosoma 21.
Piera raccontaci un po’ l’inizio di questa storia.
A 42 anni sono rimasta incinta del mio quarto figlio e nonostante i rischi connessi all’età non ho voluto fare l’amniocentesi perché io e mio marito sapevamo che in ogni caso avremmo tenuto il bambino, e comunque volevo avere una gravidanza tranquilla. Purtroppo un’ecografia eseguita a sei mesi e mezzo ha messo in evidenza che Lorenzo aveva una malformazione cardiaca, quindi a sette mesi ho fatto diversi esami, tra cui l’amniocentesi, per capire cosa aveva il bambino, se fosse presente qualche anomalia genetica e decidere in base al risultato quale struttura sarebbe stata idonea per il parto, per poter affrontare nel miglior modo possibile le difficoltà alle quali io e mio figlio saremmo andati incontro. Il responso è stato la sindrome di Down, che mi hanno detto essere il male minore, per me è stato uno shock, non l’ho accettato all’inizio.
In famiglia come è stata presa la notizia
Come dicevo all’inizio non ho accettato la cosa, non avevo mai conosciuto una persona con la trisomia del 21; ma mio marito, Maurizio, da piccolo aveva avuto un compagno di giochi con questo problema e per lui non era una situazione estranea, mi ha fatto coraggio dicendomi che le persone con questa sindrome sono come tutti gli altri. Poi l’abbiamo detto ai ragazzi più grandi, abbiamo detto loro che “dovevano volergli bene” e mio figlio Antonio mi ha risposto “Mamma è nostro fratello, perché non dovremmo volergli bene?” insomma, lo dava per scontato. Molto importante è stato l’aiuto delle persone che ci sono state vicine, che hanno iniziato a pregare per noi, che ci hanno sostenuto e non compatito; questa vicinanza mi ha aiutato ad accettare la situazione.
Dopo aver saputo la diagnosi, hai cercato di informarti su questa sindrome?
Non ho voluto informarmi, un po’ per il rifiuto e un po’ perché avendolo saputo tardi non ho avuto neanche il tempo di farlo. Con il senno di poi penso che sarebbe stato meglio saperlo prima, magari non con l’amniocentesi, avrei potuto fare una ecografia transnucale, saperlo prima mi avrebbe dato più tempo per prepararmi. Il rifiuto del problema c’è stato fino a quando non ho avuto la possibilità di guardare Lorenzo appena nato, da lì tutto è cambiato e ho cominciato la battaglia per mio figlio. Lui era ed è ancora piccolo per combattere per i suoi diritti, io che sono la madre lo sto facendo per lui
Come è iniziata la tua battaglia?
Lorenzo è nato e purtroppo non hanno creduto che ce la potesse fare: oltre la sindrome di Down aveva il morbo di Hirschsprung, o megacolon congenito, lo davano per spacciato. Dopo un mese di esitazione ho preso la decisione di portarlo al Bambin Gesù di Roma; lì ho trovato un ambiente in cuisi respirava la fiducia e la speranza e dove si crede in questi bambini. Lorenzo è stato subito operato, è rinato, sapevano come curarlo, come gestirlo e mano a mano andava migliorando. Oggi lotto affinché Lorenzo abbia non una semplice assistenza, ma affinché venga seguito in maniera adeguata dalle istituzioni, perché possa sviluppare al massimo le sue capacità e per fare questo c’è bisogno di lavorare insieme a loro, c’è bisogno di un cambiamento di mentalità. Come tra i figli “normali” ci possono essere quelli più dotati in una cosa e quelli che non lo sono, anche tra le persone con la sindrome ci possono essere quelli con più capacità e quelli con meno capacità ma se seguiti, se stimolati in maniera giusta possono dare tanto e arrivare ad un buon inserimento sociale a tutti i livelli. Una mamma ha detto che questi bambini “è come se avessero uno zaino che non gli si può togliere” un peso in più per camminare, hanno bisogno di un aiuto in più per maturare le loro capacità.
Sei entrata a far parte della AIPD l’Associazione Italiana Persone Down.
-Sì, siamo un gruppo di 15/20 genitori di bambini con la sindrome, che hanno deciso di ritrovarsi per condividere le loro esperienze, portare i propri figli ad essere autonomi e che vogliono anche essere di aiuto a chi viene a trovarsi in questa situazione e per fare questo abbiamo voluto appoggiarci al nazionale e aprire una sezione a San Benedetto del Tronto, in via Colle Ameno 2/a, il sito internet è http://www.aipd.it per chi volesse contattarci.
Piera conclude dicendo che lei non è una mamma speciale, si sente sminuita nel sentirsi dire questo, lei è soltanto una mamma che vuole bene ai suoi figli; Lorenzo è un bambino con qualche difficoltà in più da superare rispetto agli altri bambini ma con la stessa voglia di vivere e di fare.