Di Alberto Campaleoni
La domanda viene spontanea: ascoltarsi e mettersi d’accordo è tanto difficile? L’argomento è la cosiddetta scuola digitale e in particolare la questione dei libri di testo, per i quali il ministro Francesco Profumo ha appena firmato un decreto che obbliga ad adottare, dall’anno scolastico 2014/2015, libri solo in versione digitale o mista. Ma l’Associazione italiana editori (Aie) replica con durezza: “Il Ministro Profumo non sente ragioni”. E aggiunge che il ministro non li ha affatto convinti della “bontà” delle nuove norme. Sempre l’Aie ricorda al ministro che “gli editori hanno fatto rilevare l’insufficienza infrastrutturale delle scuole (banda larga, WiFi, dotazioni tecnologiche…); hanno richiamato l’attenzione per le pesanti ripercussioni sui bilanci delle famiglie, sulle quali si vogliono far ricadere i costi di acquisto delle attrezzature tecnologiche (pc, portatili, tablet…), quelli della loro manutenzione e quelli di connessione”.
L’un contro l’altro armati, verrebbe da considerare, quando invece logica vorrebbe che tra ministro ed editori – e quanti altri operano per la scuola e l’educazione – vi fosse se non un’alleanza, almeno una fattiva collaborazione.
In effetti il tema della “scuola digitale” si presta a grandi fughe in avanti che talvolta sembrano propagandistiche e demagogiche. L’Ocse, solo pochi giorni fa, in un rapporto, sottolineava le forti criticità della scuola italiana in quanto a dotazioni tecnologiche, rilevando ad esempio come solo la Grecia ha meno computer per studente nelle classi. In Italia c’è n’è uno ogni 10 studenti di terza media (13-14 anni), contro una media europea di uno per ogni 5. In Svezia, Norvegia, Danimarca e Spagna, il rapporto diventa uno ogni 3.
Un dato significativo, che richiama la necessità di investimenti strutturali i quali – sembra superfluo dirlo – dovrebbero accostarsi a molti altri legati anche semplicemente all’edilizia scolastica (e il Ministero per questo ha appena sbloccato un po’ di finanziamenti).
In questa direzione si capisce la perplessità che suscitano le decisioni ministeriali. Così, ad esempio, un lettore commentava, sul sito internet del “Corriere della Sera”, la notizia dei libri digitali (e non era il solo): “È tutto molto bello, ma Profumo ha mai fatto un giro in una scuola italiana? Ma lo sa che spesso non ci sono nemmeno i pc? Che le Lim sono rarissime? Ma veramente si crede che le scuole, che per mancanza di fondi sono costrette a chiedere ai genitori di portare persino carta e sapone, siano in grado di fornire un e-reader a tutti gli alunni? O ciascuno dovrà provvedere da solo?”.
Naturalmente bisogna guardare avanti e costruire la scuola del futuro, che non potrà fare a meno dell’innovazione digitale. Innovazione tuttavia da costruire dal basso, non con un decreto impositivo. Come peraltro sta avvenendo in diverse scuole italiane, che da sé si dotano di strumenti tecnologici e culturali innovativi, costruendo nuove modalità di azione didattica, con gradualità e in modo progressivo. Varrebbe la pena di fare tesoro dell’esperienza, provare ad allargarne il campo, creare le condizioni per uno sviluppo reale.
Forse servirà anche un decreto, per adesso l’impressione è che i risparmi ventilati per le famiglie grazie all’innovazione rutilante, siano foglie di fico per provvedimenti discutibili.