“Annunciare, testimoniare, adorare”: sono i tre verbi sui quali PapaFrancesco ha voluto riflettere nell’omelia della messa celebrata nella sua prima visita alla basilica papale di San Paolo fuori le Mura. Al suo arrivo il Papa ha pregato sul sepolcro di San Paolo. Al termine della messa il Pontefice si è recato nella Cappella del Crocifisso per venerare l’icona della Madonna Theotokos Hodigitria, davanti alla quale il 22 aprile 1541 Sant’Ignazio di Loyola e i suoi primi compagni fecero la loro professione religiosa solenne, evento fondamentale per la nascente Compagnia di Gesù.
Il coraggio dell’annuncio. “Siamo sulla tomba di san Paolo, un umile e grande Apostolo del Signore, che lo ha annunciato con la parola, lo ha testimoniato col martirio e lo ha adorato con tutto il cuore”, ha detto il Santo Padre, mettendo in luce i tre verbi chiave della sua omelia: “annunciare, testimoniare, adorare”. Commentando la prima Lettura, Francesco ha sottolineato “la forza di Pietro e degli altri Apostoli” nell’annunciare “con coraggio, con parresia, quello che hanno ricevuto, il Vangelo di Gesù”. “E noi? Siamo capaci di portare la Parola di Dio nei nostri ambienti di vita? Sappiamo parlare di Cristo, di ciò che rappresenta per noi, in famiglia, con le persone che fanno parte della nostra vita quotidiana?”, ha chiesto il Papa. La fede, ha chiarito, “nasce dall’ascolto, e si rafforza nell’annuncio”.
Testimonianza concreta. Poi il Pontefice ha invitato a fare “un passo avanti: l’annuncio di Pietro e degli Apostoli non è fatto solo di parole, ma la fedeltà a Cristo tocca la loro vita, che viene cambiata, riceve una direzione nuova, ed è proprio con la loro vita che essi rendono testimonianza alla fede e all’annuncio di Cristo”. Ricordando le parole di Gesù a Pietro sul lago di Tiberiade, il Santo Padre ha precisato: “È una parola rivolta anzitutto a noi Pastori: non si può pascere il gregge di Dio se non si accetta di essere portati dalla volontà di Dio anche dove non vorremmo, se non si è disposti a testimoniare Cristo con il dono di noi stessi, senza riserve, senza calcoli, a volte anche a prezzo della nostra vita”. Ma questo “vale per tutti: il Vangelo va annunciato e va testimoniato. Ciascuno dovrebbe chiedersi: come testimonio io Cristo con la mia fede? Ho il coraggio di Pietro e degli altri Apostoli di pensare, scegliere e vivere da cristiano, obbedendo a Dio?”. Certo, ha ammesso Francesco, “la testimonianza della fede ha tante forme, come in un grande affresco c’è la varietà dei colori e delle sfumature; tutte però sono importanti, anche quelle che non emergono. Nel grande disegno di Dio ogni dettaglio è importante, anche la tua, la mia piccola e umile testimonianza, anche quella nascosta di chi vive con semplicità la sua fede nella quotidianità dei rapporti di famiglia, di lavoro, di amicizia”. Infatti, “ci sono i santi di tutti i giorni, i santi ‘nascosti’, una sorta di ‘classe media della santità’, come diceva uno scrittore francese, questa ‘classe media della santità’ di cui tutti possiamo fare parte”. Ma, ha avvertito il Papa, “in varie parti del mondo c’è anche chi soffre, come Pietro e gli Apostoli, a causa del Vangelo; c’è chi dona la sua vita per rimanere fedele a Cristo con una testimonianza segnata dal prezzo del sangue”. Di qui l’invito a ricordare che “non si può annunciare il Vangelo di Gesù senza la testimonianza concreta della vita. Chi ci ascolta e ci vede deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca e rendere gloria a Dio!”. “Mi viene in mente adesso – ha aggiunto a braccio – un consiglio che San Francesco di Assisi dava ai suoi fratelli: predicate il Vangelo e se fosse necessario anche con le parole. Predicare con la vita, la testimonianza”. Per il Pontefice, “l’incoerenza dei fedeli e dei Pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere, mina la credibilità della Chiesa”.
Spogliarci degli idoli. Ma “tutto questo è possibile soltanto se riconosciamo Gesù Cristo, perché è Lui che ci ha chiamati, ci ha invitati a percorrere la sua strada, ci ha scelti. Annunciare e testimoniare è possibile solo se siamo vicini a Lui”, ha chiarito il Santo Padre. Un “punto importante” per noi è “vivere un rapporto intenso con Gesù, un’intimità di dialogo e di vita, così da riconoscerlo come ‘il Signore’, da adorarlo”. Perciò, Francesco ha invitato a porci “tutti una domanda: Tu, io, adoriamo il Signore? Andiamo da Dio solo per chiedere, per ringraziare, o andiamo da Lui anche per adorarlo? Che cosa vuol dire allora adorare Dio? Significa imparare a stare con Lui, a fermarci a dialogare con Lui, sentendo che la sua presenza è la più vera, la più buona, la più importante di tutte. Ognuno di noi, nella propria vita, in modo consapevole e forse a volte senza rendersene conto, ha un ben preciso ordine delle cose ritenute più o meno importanti. Adorare il Signore vuol dire “dare a Lui il posto che deve avere; adorare il Signore vuol dire affermare, credere, non però semplicemente a parole, che solo Lui guida veramente la nostra vita; adorare il Signore vuol dire che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, il Dio della nostra vita, della nostra storia”. Questo ha “una conseguenza nella nostra vita: spogliarci dei tanti idoli piccoli o grandi che abbiamo e nei quali ci rifugiamo, nei quali cerchiamo e molte volte riponiamo la nostra sicurezza. Sono idoli che spesso teniamo ben nascosti; possono essere l’ambizione, il carrierismo, il gusto del successo, il mettere al centro se stessi, la tendenza a prevalere sugli altri, la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita, qualche peccato a cui siamo legati, e molti altri”. Invitando tutti a pensare a quale idolo nascosto ci impedisce di adorare il Signore, il Papa ha ribadito che “adorare è spogliarci dei nostri idoli anche quelli più nascosti, e scegliere il Signore come centro, come via maestra della nostra vita”.
0 commenti