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La famiglia è la prima impresa

di Francesco Rossi

La famiglia è la “prima impresa”. Anzi, “se è vero che l’impresa è importante perché assicura la crescita economica producendo ricchezza e offrendo posti di lavoro, la famiglia lo è ancora di più, perché oltre alla crescita economica assicura un futuro stabile e duraturo alla comunità”. Con queste parole monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, ha aperto oggi pomeriggio a Roma il primo di una serie di “dialoghi per la famiglia” voluti dal dicastero vaticano come occasione per centrare l’attenzione su quello che è un “patrimonio per l’umanità” oggi misconosciuto e attaccato. Al suo fianco, il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, che ha esortato a “non stancarsi nell’affermare con decisione l’originaria ontologia del matrimonio e della famiglia”.

La ricchezza della famiglia. Da una parte c’è l’indubitabile ruolo che la famiglia riveste per la società intera; dall’altra l’insignificanza cui è soggetta, mentre si riconoscono come “famiglie” diversi tipi di legami. La famiglia, quella “normo-costituita”, “sostiene la nostra società” e questo è ancor più “evidente in un momento di crisi”, ha rilevato Paglia, lamentando le “derive drammatiche” che s’imboccano quando anche agli alti livelli delle organizzazioni internazionali si tende a parlare di “famiglie” incoraggiando la “massima variabilità”. Riferendosi al titolo dell’incontro, il vescovo ha osservato che la famiglia è “amica dell’impresa”, “tanto che offre a quest’ultima un modello di relazionalità virtuosa”; ma, ancor di più, “è essa stessa un’impresa” che “produce ricchezza, fornisce servizi, sostiene l’economia in crisi, supporta e sostituisce lo stato sociale quando questo è debole”. Essa “investe sui suoi figli”, “rischia” nel metterli al mondo e “nell’introdurli alla vita sociale”. Ma la sua “attività economica” – ha evidenziato Paglia – è “caratterizzata da notevoli quote di gratuità e di comunione che hanno anche un valore economico”; anzi, “la generosa gratuità delle relazioni familiari più pure e genuine ha un valore che la società e gli Stati non possono più trascurare”.

Equità, non agevolazioni. Insomma, non è solo “un soggetto che consuma e risparmia”, ma “un’istituzione economica a tutti gli effetti, con tutto ciò che comporterebbe da un punto di vista normativo e fiscale”, ha evidenziato suor Alessandra Smerilli, economista e docente all’Università Cattolica, elencando ciò che la famiglia “produce”. C’è “la trasformazione di beni dentro le mura domestiche, l’essere fonte primaria di capitale sociale, fiducia e beni relazionali”, “intangibili e preziosi per lo sviluppo economico”. In gioco c’è anche una “redistribuzione dei redditi”, il “sostegno al welfare”, la promozione e lo “sviluppo economico”. Un soggetto primario, quindi, e titolare di diritti. Per questo Vincenzo Bassi dell’Unione giuristi cattolici italiani (Ugci) rifiuta di parlare di “agevolazioni” per la famiglia, come se ci fosse un principe che può concederle o toglierle a piacimento. Non è così, “si tratta di equità”, ha osservato il giurista, contestando quella tendenza per la quale “le politiche sulla famiglia spesso si sono trasformate in politiche di emergenza familiare in concorrenza con altre emergenze”. Sembra di essere dinanzi a un “malato cronico”, ma è una visione distorta, come se per parlare dell’imprenditoria “si prendessero a esempio le imprese in crisi”.

Con la schiena dritta. Dalla famiglia si pretende, “è lo spazio finale di tutte le criticità e difficoltà”, ha annotato il presidente del Forum delle associazioni familiari, Francesco Belletti, rimarcando il diritto a una soggettività pubblica, a essere “famiglia con la schiena dritta”. E la sua “produttività” va misurata non con il Pil, ma in termini di “benessere che riesce a generare”, ha dichiarato Mariella Enoc, vicepresidente della Fondazione Cariplo, individuando alcuni “bisogni concreti” delle famiglie, come la casa, ma pure il lavoro, tema che richiama la necessità di un adeguato finanziamento alle imprese. “Oggi – ha evidenziato Enoc – stiamo morendo per la mancanza di lavoro e ciò non riguarda solo i giovani: si pensi al dramma sociale di cinquantenni e sessantenni che in questi anni hanno perso l’occupazione perché le loro imprese hanno chiuso, ma non hanno ancora l’età per la pensione”. Situazioni di fronte alle quali entra in gioco un nuovo welfare e la consapevolezza, espressa da Johnny Dotti di Welfare Italia, che “è finito il tempo della grande espansione”. Per la tenuta e il futuro della comunità c’è da ripartire dal cuore, dal “nucleo centrale della società civile”, e qui – ha precisato il giurista Giovanni Giacobbe – si trova la famiglia, non come “postulato della cultura cattolica” ma per una questione di diritto naturale.