Alberto Campoleoni
La Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni offre l’occasione di riflettere su un tema – e un termine – che oggi può sembrare desueto se non addirittura equivoco.
Vocazione, infatti – ammettendo che il termine e la sua implicazione “religiosa” risultino comprensibili ai giovani di oggi – può lasciar immaginare schemi già definiti, cui ci si può/deve adeguare, modelli di vita – il prete, la suora, ma anche il marito, la moglie – da “calzare” come un vestito più o meno su misura. In realtà, il tema della vocazione richiama, più in generale, la ricerca personale di realizzazione e di felicità, ancorandola – questa è la portata propria del termine, che si può sostituire con “chiamata” – alla dimensione della relazione, del rapporto con l’altro. Qualcuno, appunto, che “chiama”, nei confronti del quale si è responsabili, cioè si “risponde”.
La vocazione cristiana è quella condivisa da ogni battezzato a seguire la strada di Gesù, a diventare come lui, rispondendo in modo consapevole e anche originale a quelle parole che riporta il Vangelo: “Vieni, e seguimi”. E si capisce che – men che meno – può diventare l’”adeguarsi” a modelli prestabiliti e preconfezionati. Piuttosto si tratta di scoprire chi si è, di intuire consapevolmente strade personali, molto concrete, che si affacciano all’esperienza quotidiana delle persone, alla ricerca di vita piena, anche incrociando e misurandosi – sapientemente accompagnati – con le vie “tradizionali”, con le proposte di vita sacerdotale, religiosa, laica…
Probabilmente la proposta del tema della vocazione oggi deve misurarsi con la necessità di trovare linguaggi diversi per farsi capire, vista la perdita di una “grammatica” comune, per cui un termine che in passato poteva avere immediatamente un forte carica di significato, oggi risulta difficile da comprendere e condividere. Deve misurarsi, anche, con la difficoltà propria dell’interpretare l’esistenza come una chiamata-risposta: cosa tutt’altro che scontata oggi, in un tempo in cui l’uomo si percepisce prevalentemente come “individuo”, sostanzialmente solo, che decide da sé, si realizza da sé…
Qui sta il nodo decisivo, nella percezione di ciò che è autenticamente umano: la riflessione sul tema della vocazione deve portare qui, a incontrare l’uomo, persona, inserito in un mondo abitato, dove l’altro è il riferimento, risorsa. Dove la dimensione dell’incontro è quella in cui si gioca la libertà: la possibilità/scelta di dare la mano o di toglierla, di aprire o chiudere, di costruire relazioni e reti o farne a meno.
In questa direzione è decisivo lo sforzo di accompagnamento da parte degli educatori, nel dipanare davanti agli occhi soprattutto dei più giovani un orizzonte così “impegnativo”, nel senso che coinvolge in profondità l’essere umano. Educare, aiutare a crescere, motivare, promuovere: sono termini che costruiscono una “prospettiva vocazionale”, cioè la progressiva scoperta di sé, della propria libertà, della capacità di scegliere e di incontrare veramente un altro /Altro. È ancora l’impegno forte della Chiesa in questo decennio dedicato all’educazione.