La sentenza relativa al delitto di Avetrana è stata annunciata: condannate all’ergastolo Sabrina, la cugina della quindicenne Sarah strozzata con un laccio e barbaramente infilata in un oscuro pozzo in campagna per futili motivi. Una cugina e una zia. Una famiglia, zio compreso, che non si rende conto di quello che ha fatto. Giustamente ha sottolineato il pubblico ministero Buccoliero che “è prevalso l’istinto di conservazione” nel non confessare il delitto di Avetrana.
E’ la crudele e spietata legge del più forte, un po’ quella che i romani definivano: “Mors tua, vita mea”. Un istinto primordiale per cui il pesce più grande e forte mangia quello più piccolo e debole. Una selezione, quella della specie, dettata dalla conservazione e dalla natura stessa, che però in esseri dotati di pensiero, come quelli umani, si spera che non debba prevalere sempre. Se siamo uomini diceva Totò “..e non caporali”. Invece è prevalsa in questo oscuro delitto.
Non un’ombra di pentimento, non un senso di colpa, non un tormento, solo la spasmodica voglia pazza di difendersi contro tutto e contro tutti, noncuranti se per farlo, dobbiamo calpestare quello che ci sta attorno. Da sottolineare anche il dramma della provincia meridionale in Italia e dell’adolescenza: una ragazzina sempre sola, che non dialoga con gli adulti, che non si confronta, lontana da madre e padre, avvinghiata alla cugina più grande, vero esempio da imitare e da emulare, anche se ti trascina in cose più grandi di te che non vorresti o che non dovresti fare, ne’ vedere alla tua età. L’equivoco e il voyerismo, il sedersi a quindici anni a pantaloncini corti sopra le gambe di ragazzi ventiseienni, anche a notte tarda, senza rendersi conto che non tutto è il caso che si faccia, per non indurre pensieri o sensazioni non sempre lecite o corrette.
La vita di Sarah era in bilico tra adulti e bambini ed è per questo che ha parlato troppo di cose intime e personali, svergognando la cugina al paese, per questo è stata “rimproverata” con un po’ troppa violenza dai due donnoni di casa Misseri, a cui è sfuggita la mano nello stringere e tirare troppo la corda al suo esile collo. Ma se un gesto non premeditato e d’impeto si può comprendere anche disapprovandolo, è l’assoluta mancanza di “pentimento” che sconvolge. Quella si, sconvolge veramente. E poi in quel torrido 26 agosto, sotto il sole di contrada Mosca, fra gli ulivi secolari della terra di Puglia, polverosa, bellissima e abbandonata, c’era proprio tutta la famiglia riunita: solidale intorno a quel piccolo minuto corpo biondo: lo dicono i tabulati dei cellulari, che si localizzano tutti vicini e nello stesso luogo, quello della “sepoltura” proprio laggiù dove chi ha amato non vorrebbe mai un suo caro, in fondo a un pozzo nero e spaventoso. C’è poi chi ha “sognato” di vedere i donnoni che litigavano con la piccola e la spingevano in macchina, altri non hanno parlato perché è sempre meglio non impicciarsi. Così nessuno ha visto nulla, ma Sarah è morta a quindici anni, strozzata ed era in un pozzo. A parte il dramma dell’omertà, figlia di una certa cultura , che si spera le nuove generazioni del sud si scrollino di dosso, c’è il dramma oscuro e tenebroso, incomprensibile, della mancanza di pentimento. Il non riconoscere una colpa, non piangere, il perseverare nell’errore. Questo è anche il dramma della mancanza di Dio.