Maria Chiara Biagioni
Questa è la storia di una diocesi irlandese che è stata travolta dagli scandali degli abusi sessuali commessi da sacerdoti, e che ora sta cercando di uscire da questo periodo buio della sua storia ricostruendo quel legame di fiducia tra il popolo e la Chiesa che si era spezzato. È la storia della diocesi di Limerick e del suo nuovo vescovo, Brendan Leahy. Prende le redini di una diocesi che prima era guidata da monsignor Donal Murray. Quel vescovo finì nel Rapporto governativo Murphy perché accusato di aver insabbiato (quando era ausiliare di Dublino) casi di abusi sessuali sui minori e si dovette dimettere. Seguirono, nello stesso periodo, le dimissioni di altri vescovi irlandesi e in accordo con la Chiesa di Irlanda, il Vaticano avviò un’indagine interna a tappeto che coinvolse tutte le 4 diocesi del Paese, 5 seminari, 31 case religiose. Un impegno serio di verifica, di ascolto delle vittime, di ricerca della trasparenza ma soprattutto di azione concreta volta a mettere in campo tutti gli strumenti necessari per impedire il ripetersi di questo dramma. Un impegno che contrassegna tuttora la Chiesa di Irlanda. Una Chiesa che ora, però, vuole rinascere. Come attestano le prime parole pronunciate dal vescovo Leahy, nel giorno della sua ordinazione episcopale. “Le prove nella vita di fede possono essere preludio di una alba nuova, di luce e di amore”. L’ordinazione del vescovo che si è svolta l’altro sabato nella cattedrale di Saint John è il segno di una pagina nuova che si sta aprendo in Irlanda: 1.200 le persone hanno riempito la cattedrale per seguire la messa che è stata trasmessa in streaming, via web e radio. Erano presenti 15 vescovi, 200 sacerdoti e le autorità civili della città.
Qual è la “ferita” che, come vescovo, la fa soffrire di più e la preoccupa di più?
“La ferita più grande sono le vittime. E poi c’è la ferita della gente colpita nella fede: tanti vivono un momento di grande oscurità; il cristianesimo in Irlanda è stato fortemente mediato attraverso la realtà ecclesiale e se la figura del sacerdote viene toccata, anche la realtà ecclesiale è ferita, anche il legame con il Vangelo è colpito. Si tratta di una ferita molto profonda perché va a colpire il senso religioso, l’identità di un popolo, il rapporto con Dio, e in Dio verso gli altri. Sento allora di dover fare la mia parte, per quanto posso, per incoraggiare una riscoperta della fede attraverso il Vangelo”.
Bastano le richieste di perdono? E nei vostri incontri con le vittime, che cosa vi dicono, che cosa si attendono dalla Chiesa?
“Chiaramente, per le vittime, se le richieste di perdono rimangono solo parole, non valgono assolutamente nulla. Si attendono di essere ascoltati, di essere creduti e chiedono la garanzia che non succeda mai più. Vogliono azioni concrete. Dobbiamo anche riconoscere quanto negli ultimi 3, 4 anni, siamo cresciuti nel professionismo in questo campo. Per esempio qui nella mia diocesi a Limerick, abbiamo un incaricato laico molto qualificato, impiegato a tempo pieno per il Child safeguarding e con lui ci sono 5 comitati di esperti. 100 laici stanno inoltre seguendo un corso di aggiornamento per diventare gli incaricati di questo settore in ogni parrocchia. Non è dunque il tentativo sporadico di aggiustare le cose del passato, ma un approccio serio, sempre innovativo per garantire che i bambini e gli adolescenti possano trovare nelle chiese un ambiente sano, sicuro. Abbiamo dovuto superare questa oscurità, credere e ammettere. Ora dobbiamo essere concreti”.
La Chiesa di Irlanda – anche sotto la guida di Papa Benedetto XVI – ha svolto un lavoro di verifica molto serio, puntuale, trasparente. Che cosa vi ha spinto?
“Nella sua lettera ai cattolici d’Irlanda, Papa Benedetto ha messo in rilievo l’antica storia della Chiesa in Irlanda. Ha messo cioè in rilievo le radici profonde che abbiamo nel cristianesimo. E guardando alla nostra storia, ci accorgiamo che ci sono stati diversi momenti di grande rinnovamento nella Chiesa. Oggi viviamo un altro di questi momenti di passaggio epocale. Ovviamente, dobbiamo fare i conti con gli scandali, con una secolarizzazione crescente. La sfida allora è quella di mettere in atto una nuova evangelizzazione in Irlanda. Questa è l’azione che sentiamo come prioritaria, in Irlanda. Ripartire evangelizzando le persone con il Vangelo”.
Papa Francesco ha ribadito la sua decisione a essere molto netto nella lotta contro ogni forma di abuso nella Chiesa. Quanto è importante l’azione del Papa per voi?
“È una conferma importante. La gente è contenta di sentire che il Papa di Roma prenda questa linea. Ma è anche importante sapere che la Chiesa locale è poi convinta che su questa linea deve proseguire”.
Crede che la figura di un Papa come Francesco possa riavvicinare le persone alla Chiesa?
“Indubbiamente papa Francesco è un grande dono. Del nuovo Papa si parla dappertutto, e sono poi le persone magari distanti o critiche verso la Chiesa, i primi ad esprimersi positivamente. È un segno di speranza, un momento veramente segnato dal soffio dello Spirito Santo. C’è un clima nuovo, una fiducia ritrovata nella chiesa”.
Lei nel suo saluto ai fedeli in diocesi, ha parlato del “preludio di un alba nuova di vita e di amore”. Che cosa le dà questa certezza?
“La fede stessa. La certezza cristiana che la morte non ha l’ultima parola in nessuna situazione. Nascosta nella realtà della morte c’è la vita. E anche nella morte che abbiamo sofferto in Irlanda, c’è il preludio di una vita nuova”.
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